Temisone di Laodicea
F. Collier, nella prefazione del traduttore alla prima edizione della sua traduzione in inglese del “De Medicina” di A. C. Celso del 1831, riprendendo la stessa definizione di Celso (“nuper“), colloca temporalmente Temisone poco prima dell’autore del “De Medicina”, durante l’epoca dell’impero di Ottaviano Augusto.
Temisone descritto dal Pazzini:
Dal pensiero medico di Asclepiade di Bitinia si forma la Scuola Metodica di Temisone di Laodicea (50 ac).
Se Asclepiade di Bitinia può essere considerato l’ispiratore della scuola metodica per averne posto le basi dottrinarie, Temisone di Laodicea dette un “metodo” a quelle idee che, per l’attuazione pratica erano forse troppo vaghe e inattuabili: di qui il nome di metodica a quella scuola.
Temisone, nato a Laodicea, fu allievo di Asclepiade. Alla morte del maestro egli volle fondare una scuola propria che fosse continuazione del suo pensiero e avesse nello stesso tempo maggiore impronta medica.
La Scuola dei Metodici prese questo nome, secondo Galeno, dal fatto che il suo fondatore si pose il compito di rettificare le regole fondamentali di Asclepiade, di determinare con migliore precisione il suo metodo e di renderlo assai più semplice e alla portata di qualsiasi intelligenza.
L’interpretazione della malattia, secondo questa dottrina, si basa sulla supposizione, già emessa da Asclepiade, che la malattia e la salute consistessero nello stato di strettezza o larghezza dei pori di cui è composta la sostanza.
Si distinse così uno “status laxus” ed uno “status strictus”. Praticamente, lo status strictus si manifestava con rossori, calori, congestioni, sete ardente, stato eretistico [eccessiva eccitabilità nervosa], ipertonia; al contrario, lo status laxus era caratterizzato da pallore, polso debole, tessuti flaccidi, senso generale di astenia e rilassatezza.
La distinzione di questi due “stati morbosi” è riportata da Galeno, che ne tratta nel libro sulle varie sette.
Lo stesso Galeno, nell’opera “De methodo medendi” riferisce che il medico Mnasea, metodico di un certo nome per aver composto taluni medicinali, affermò l’esistenza di un terzo stato della materia malata che chiamò “status mixtus” specialmente nel letargo, nella epilessia, nel catarro, e nelle paralisi, contribuendo a muovere l’uniformità delle patologie. [1]
Afferma il De Renzi riguardo a Temisone:
“Preparate da Asclepiade le basi di una novella credenza, un suo discepolo le ridusse a sistema, e questi Temisone, il quale sebbene straniero di origine, tuttavia fu allievo della scuola romana. …
Troppo vasto quindi, e troppo elevato era quel sistema [di Asclepiade] da poter essere abbracciato dalle menti volgari, le quali seguivano le facili dottrine degli empirici, anziché lambicarsi in ricerche elevate e difficili. Temisone, vedendo ciò non cercò di chiarire, estendere e perfezionare il sistema del suo maestro; ma soltanto procurò di ridurlo ad una forma abbreviata, ad un certo metodo, per renderlo adatto all’intelligenza comune …
Cercando di popolarizzare la medicina e renderne agevole lo studio, aprì le porte ad ogni speculatore e ciarlatano e l’arte divenne profanata, e Roma fu novellamente inondata da uno sciame di praticanti, che questa volta con sicurezza e senza contrasti speculava sulla sanità del popolo. I novelli medici, i quali per aver ridotto a metodo i precetti di Asclepiade, vennero perciò detti metodici, spregiando, come gli empirici, l’anatomia, la fisiologia, la ricerca delle cagioni, portarono oltre le loro pretese, disprezzando lo stesso studio minuto dei particolari ai quali si attaccavano gli empirici. …
A forza di esclusione e ravvicinamenti, Temisone giunse a determinare tre più generale comunanze, cioè lo stretto, il lasso ed il misto, ai quali principi aggiunse la differenza di corso delle malattie, essendo alcune acute ed altre croniche, e l’andamento del loro medesimo corso, cioè il quando nascono, crescono, arrivano al più alto grado di vigore e quindi declinano. …
Temisone quindi collegava l’empirismo al dogmatismo asclepiadeo, e mentre ammetteva la indicazione nella cura del morbo, quella riteneva solo dalle indicate generali comunanze, rifiutando ogni cognizione della specie dei morbi, ogni riguardo all’età, al sesso, al temperamento, alla stagione, al clima, alle abitudini, alla forma, ecc. Insomma i suoi principi potevano compendiarsi in queste parole: il corpo è tutto formato da pori, sebbene non si vedano, ma di essi da chiaro esempio la pelle, la quale non manifesta all’occhio alcun foro, mentre il sudore ne mostra evidentemente l’esistenza. In questi pori si muovono le molecole e gli atomi che sostengono la nutrizione e tutte le funzioni del corpo. Ora se questi pori si restringono – lo stretto – impediscono il movimento degli atomi e li lasciano accumulare in insoliti luoghi; se i pori si dilatano – il lasso – si lasciano non solo percorrere da molecole inopportune, ma anche lasciano scappare quelle che sono necessarie al sostegno delle funzioni. …
Alcuni hanno trovato molta analogia fra queste dottrine e quelle di Brown.
Temisone distingueva i rimedi che rilasciavano lo stretto e restringevano il lasso. Il salasso era uno dei grandi rilassanti, e quindi lo prescriveva frequentemente nella malattia di quella grande classe. Oltre al salasso generale si trova in Temisone per la prima volta fatto parola il salasso locale eseguito per mezzo delle mignatte, riservando il primo per il rilassamento del corpo in generale, ed usando le seconde per rilassare ciascuna parte singolare. …” [2]
Ed ecco Temisone di Laodicea visto dal Puccinotti:
“Temisone di Laodicea fu il primo e più distinto alunno della scuola di Asclepiade. Non sapendo sostenersi nella contemplazione delle leggi della natura esteriore della formazione dei corpi, si chiuse colle sue patologiche idee entro i limiti dell’organismo umano, e sembrandogli troppo astruso il concetto della forma molecolare della materia organica, né sapendo valersi dell’idea della forza attiva di mutazione insita nelle particelle medesime, stabilì che forma e causa continente dello stato morboso, entrassero tutte ed intere nel restringimento e nella dilatazione dei pori meati o canali del solido organico.
Il dilatarsi e restringersi dei pori era per Asclepiade un effetto meccanico del torrente corpuscolare che dalla natura esteriore entrava, si mutava ed usciva dalle reti organiche; sicché la forma tipica degli organismi era precisamente un mezzo, nel quale si esercitava la vita incessante delle particelle.
Per Temisone all’opposto era indispensabile sostituire alla materia una forza speciale astratta, che provasse le azioni delle potenze esteriori e dilatasse e stringesse la forma organica con una normale alternativa (salute), o con una anormale che desse principio e contenesse lo stato morboso.
Fu quindi denominata la duplice genesi dei morbi, Strictum l’una, Laxum l’ altra. E siccome un dualismo assoluto non può esistere, fu ammesso un terzo stato che venne chiamato Mixtum, nel che si combinavano ambedue le supposte condizioni di malattia. Queste formarono per la scuola di Temisone le comunitates morborum.
La Diagnosi si limitava a dedurre da certi fenomeni esterni la condizione morbosa predominante. Tutti i sintomi di profluvio, come di sangue, urine, muco, sudore, materie di stomaco o di intestino indicavano il Laxum: i sintomi di ritenzione di ciò che doveva essere normalmente espulso dall’organismo, diagnosticavano lo Strictum. Non essendo abbastanza evidenti o sestanti, sottentarono ad equilibrare la Diagnosi, i polsi e lo stato molle o secco della cute, fenomeni variabilissimi e sui quali può spesso l’autorità o l’opinione.
Nella prima Classe dei morbi da stringimento entravano le Febbri, le Flogosi, i Dolori, le Convulsioni, l’Apoplessia, la Paralisi, l’Epilessia, il Tetano, l’Artritide, la Frenitide, il Letargo, l’ldrofobia, l’lleo, la Stipsi, e le ritenzioni in genere.
Nella seconda Classe di rilassamento erano le Idropi, i Vomiti, le Emorragie, i Catarri, i Flussi intestinali, la Sincope, il Diabete.
Appartenevano poi al genere Mixtum tutte le febbri accompagnate da escrezioni abbondanti: tutte quelle malattie apiretiche nelle quali sopravveniva una febbre acuta.
Da queste comunanze Nosologiche scaturivano le Indicazioni Terapeutiche, e la divisione dei rimedi in astringenti e rilassanti.
Ma quando urgeva il bisogno di espellere dal corpo una causa naturale estrinseca, e permanente , come nei casi di avvelenamento, o di vermi, ricorrevano allora a una terza indicazione che chiamarono Profilattica, per togliere la morbosa cagione.
I mezzi medicamentosi contrari al Laxum [astringenti], erano le tenebre, l’aria fredda, l’acqua e le pittime {sorta di decotto usato come empiastro} fredde, le decozioni di erbe stiptiche e amarolente, le aspersioni per tutto il corpo di polveri alluminose, d’ossido di piombo, di gesso ecc.
Fra i rilassanti si collocavano il moto, i bagni tepidi e caldi, le frizioni oleose, e i decotti e le fomenta emollienti. Ma il primo rilassante consisteva nelle evacuazioni dl sangue o con salassi, o colle sanguisughe: dei quali mezzi si dice che Temisone abusasse non poco. E si può credere che da questo abuso praticato specialmente nelle febbri endemiche di Roma, derivasse la poca fortuna delle sue cure, e che con ragione dicesse di lui Giovenale “Quot Themison aegros autumno occiderit uno”.
Continuò anche Temisone a tenere spartiti i morbi in acuti e in cronici. E gli tornò lode dall’essere stato il primo a comporre un trattato completo sulle malattie croniche, dovechè i suoi predecessori non avevano scritto che di alcune di essa [3]. Furono tenute in pregio come diligentissime le storie della Elefantiasi e della Idrofobia, della quale ebbe a soffrire gravi sintomi egli stesso, compreso da terrore nel vedere altro medico miseramente morire
idrofobo.
Fu tenace nell’osservare la regola terapeutica del periodo dei tre giorni (diatritos), nei quali prescriveva una dieta assoluta, e quindi a’ tempi definiti somministrava medicine. Chiamava questa regola comunitas temporalis. E qui non attendendo alle sagge avvertenze del maestro sulla incostanza de’ giorni critici, meritò il rimprovero di Celio Aureliano: “Non interrogans passionis tempus, sed solum numerum dierum imprudenter attendens.”
Ebbe di buono, che segui anch’esso l’esempio d’Asclepiade nel coltivare la Chirurgia: nella quale volle pur tentare un sistema di comunanze, che forse alla pratica tornò meno pernicioso di quello immaginato per le malattie mediche.
Considerato il fine della Chirurgia nella sottrazione dei corpi estranei, o questi corpi erano esterni e comprendevano allora tulle le ferite, i veleni ecc., o erano interni, e in tal caso si suddividevano in tre comunanze: 1) Mutazione di luogo, come ernie, lussazioni , e qui la riposizione. 2) Aumento di parti, come tumori, ascessi, escrescenze, e qui incisione o esportazione. 3) Difetto di parti, come labbro leporino, divisione della volta palatina, perdite in genere di sostanza, e qui riparazione.
Abbandonato il concetto d’una forza viva inerente alla materia universale, Temisone introdusse le miserie del vitalismo: una forza presupposta, e sostituita come passiva alla affluenza perpetua e alla mutabilità delle particelle materiali della natura esteriore nell’organismo, cancellava le attinenze che Asclepiade aveva mantenuto tra la fisica esterna e la organica, toglieva ogni valore patologico ai fluidi, alle loro alterazioni ed eliminazioni proficue nelle malattie, ed esagerando i poteri dell’arte, contrastava bestialmente quelli della natura: l’eliminazione del concetto della enstasis guastava la diagnosi, allontanandola dal primo passo sicuro ch’ella fa nella ricerca della lesione locale, e rendendo quasi nulla l’anatomia alle patologiche ricerche; dato alla terapeutica un mentito aspetto di semplicità nella supposta duplice azione dei rimedi, si tradiva l’arte, in quanto la semplicità si perde forzando ed innalzando smisuratamente la quantità anche d’un rimedio solo.
Cosi la Medicina romana composta da Asclepiade, incominciò a guastarsi nelle mani di Temisone e dei suoi seguaci, e a degenerare a grado a grado in quei vizi che, principalmente nella terapeutica, in seguito la deturparono.” [4]
FONTI
[1] “Storia dell’Arte Sanitaria” di Adalberto Pazzini, pag. 244-247
[2] “Storia della Medicina Italiana”, di Salvatore De Renzi, (Vol. I, Sezione II, Cap. III)
[3] “Scribentium igitur medicinam nullus: ante Themisonem tardarum Passionum curationes principaliter ordinavit”. Cael. Aurelian. Chron. L. 1. Praefat.
[4] “Storia della Medicina” Vol 1, Libro IV, cap. II, 1850, di Francesco Puccinotti
Articolo di Concetto De Luca (30/07/2014)