Sigmund Freud: i segreti di un’icona pop
(Articolo di Giulia Guidotti)
“Allora fu solo un passo breve quello che mi portò a considerare il sogno stesso come un sintomo e ad applicare ai sogni il metodo di interpretazione che era stato usato per i sintomi.”
[Sigmund Freud, “L’interpretazione dei sogni“, 1899]
NESSUNO COME LUI
Nessuno è come lui. Nessuno è riuscito ad essere scienziato, medico, maestro, icona pop. A ottant’anni dalla sua morte non si finisce ancora di parlare di lui: amato per il suo genio irriverente, contestato per la mancanza di scientificità; ha influenzato l’arte (si pensi ai quadri di Salvador Dalì), la letteratura (chiunque conosce le vicende un po’ monotone di Zeno Cosini de “La coscienza di Zeno“) e perfino la musica, visto che ce lo siamo ritrovati due anni fa in un pezzo di Nek e J-Ax.
Eppure Freud avrebbe potuto non diventare un medico: sognava infatti di studiare Giurisprudenza per occuparsi di questioni sociali, ma fu dopo aver sentito commentare alcuni brani di Goethe, che si iscrisse alla facoltà di Medicina. Capì che l’osservazione della natura sarebbe stata il suo settore e fin da subito si interessò allo studio del sistema nervoso. Inizialmente la sua carriera medica non decollò, pertanto nel 1884 si decise a studiare gli effetti della cocaina.
L’INTERESSE PER LA COCAINA
Fu estremamente entusiasta di questa, da lui definita “sostanza magica”. Il suo primo paziente ad assumerla fu il dottor Ernst von Fleischl-Marxow, che già faceva uso di morfina per disturbi dolorosi del sistema nervoso e che ben presto divenne un tossicomane. Lo stesso Freud divenne un tossicodipendente e finì per prescriverla veramente a tutti, ivi comprese le sorelle e la fidanzata, a cui scrisse: “nella mia ultima depressione ho fatto uso di cocaina e una piccola dose mi ha portato alle stelle in modo fantastico. Sto ora raccogliendo del materiale per scrivere un canto di preghiera a questa magica sostanza”.
Direi che solo per questo avrebbe meritato una citazione nel pezzo di Achille Lauro, un bel “sdraiato a terra come Freud”. Tra l’altro la cocaina (di cui ridusse l’uso verso il 1887) non era l’unica delle sue dipendenze: era un forte fumatore e continuò a fumare i suoi amati sigari, nonostante l’abitudine al fumo gli avesse procurato una lesione neoplastica alla mandibola.
TRA MEDICINA E LETTERATURA
Bisogna però considerare che all’epoca si beveva assenzio abbastanza comunemente, si fumavano sigarette oppiate e si usava la morfina con molta disinvoltura per la sua azione antidolorifica.
Non a caso perfino il celebre Sherlock Holmes faceva uso di cocaina, come racconta Arthur Conan Doyle (1859 – 1930) ne “Le avventure di Sherlock Holmes“.
Anche Des Esseintes del celebre romanzo di Joris-Karl Huysmans (1848 – 1907), “Controcorrente” (uscito proprio nel 1884), vive viaggi allucinanti molto simili a quelli della cultura psichedelica anni sessanta del novecento. Tra l’altro Des Esseintes costituisce la perfetta rappresentazione del paziente nevrotico di fine ‘800: presenta un quadro non ben definito di sintomi fisici e psicologici in grado di compromettere le relazioni interpersonali, la qualità della vita del soggetto.
L’isteria
Con il termine isteria si intendeva un disturbo nevrotico tipicamente femminile caratterizzato da ninfomia, frigidità, stati d’ansia, scatti d’ira, emozioni violente e imprevedibili. Si riteneva che l’eziopatogenesi fosse uno spostamento dell’utero. I casi più persistenti venivano trattati con un’isterectomia (asportazione dell’utero), intervento parecchio rischioso, soprattutto per le condizioni igieniche non sempre ottimali.
Nello stesso periodo in Inghilterra il dottor Robert Darlymple curava le pazienti con un massaggio vulvare che, provocando ripetuti “parossismi” riusciva a riportare in sede l’utero (ovviamente secondo lui). Il dottor Mortimer Granville, che entrò proprio in servizio da Darlymple, dopo essersi fatto venire i crampi alle mani sviluppò un “massaggiatore elettrico” assieme al suo amico Lord Smithe, l’antenato del vibratore. Questo riusciva a procurare molti più “parossismi” (il concetto di piacere femminile non esisteva) e in minor tempo, perciò sembrava un vero affare.
HYSTERIA
Il film “Hysteria” rappresenta bene il livello di approssimazione della psichiatria ottocentesca e permette di comprendere meglio come fossero veramente queste pazienti isteriche. Si trattava davvero di una “diagnosi pigliatutto”, per usare le parole del film. I metodi di Graville e Darlymple possono farci sorridere, ma quella era l’evidence-based medicine di allora. Loro credevano di offrire trattamenti all’avanguardia e certamente lo erano rispetto all’operazione chirurgica.
Freud si interessò all’isteria nel 1885, dopo aver letto il lavoro di Jean-Martin Charcot (chi ha già studiato neuroanatomia lo conoscerà perché inventò un taglio frontale passante per i corpi mammillari dell’ipotalamo), che era in grado di curarla con l’ipnosi.
LA COLLABORAZIONE CON IL DOTTOR BREUER
Freud iniziò presto una collaborazione con il dottor Josef Breuer (1842 – 1925), migliorando il metodo e presentò i risultati alla Società medica viennese. Spinti dal successo clinico pubblicarono gli Studi sull’isteria nel 1895, in cui raccontavano il curioso caso di Anna O. Lei era ragazza di ventun’anni, che presentava paralisi a entrambi gli arti e alla nuca, disturbi della vista, strabismo convergente, turbe all’udito, difficoltà nella postura, forte tosse nervosa, problemi di linguaggio e alternanza tra stati di confusione e delirio. Poiché la paziente non presentava alcuna lesione organica, le fu diagnosticata l’isteria. I sintomi recedevano dopo l’ipnosi e la paziente sembrava aver ritrovato una vita normale, senonché ogni volta che Breuer si allontanava per qualche giorno i progressi risultavano annullati. Anna aveva sviluppato una vera e propria dipendenza affettiva dal dottore e il rapporto tra loro aveva seriamente compromesso la vita coniugale di Breuer, che prudentemente evitò di narrare il seguente episodio: una sera infatti venne chiamato d’urgenza e ritrovò la ragazza in stato confusionale e in preda a dolori addominali e quando provò a chiederle il motivo di tutto ciò lei disse che “stava venendo al mondo il bambino del dottor Breuer”.
ANNA O
Breuer rimase scioccato e affidò la ragazza a un collega; Freud invece ebbe l’ispirazione giusta per elaborare il concetto di transfert, ovvero una sorta di innamoramento indipendente dall’età, dal sesso, dalle caratteristiche e dall’atteggiamento dell’analista durante la terapia. Inoltre le pazienti in stato ipnotico rievocavano fatti traumatici dimenticati e, rivivendoli, sembravano trovare una valvola di sfogo in grado di liberarle dal peso emotivo di questi eventi. Ben presto Freud capì l’inefficacia dell’ipnosi, che pareva più una soluzione palliativa e iniziò a osservare attentamente il comportamento di quelle che lui arrivò a definire “le sue stesse istruttrici”. Lui notò subito che esse raccontavano spesso segreti di natura sessuale, che si celavano dietro la più disparata sintomatologia, perciò decise di lasciarle parlare liberamente in maniera da comprendere meglio le angosce presenti e i ricordi a esse legati. Nel frattempo cominciò di analizzare sé stesso, annotando i propri sogni.
LE LIBERE ASSOCIAZIONI
Tra il 1892 e il 1898 grazie a questi esperimenti riuscì a liquidare Breuer e l’ipnosi, per sperimentare il metodo delle libere associazioni. Si trattava di far partire le pazienti da un elemento dato, oppure spontaneo e di far dire loro tutto ciò che avevano in mente, senza tralasciare eventuali elementi banali, sgradevoli o imbarazzanti. Il soggetto doveva essere rilassato e in posizione tale da non guardare l’analista, che non doveva giudicare.
Da qui nacque il famoso “divano” dello psicoanalista, immortalato in libri e film. Le libere associazioni gli consentivano di aggirare la censura, che impediva l’accesso ai desideri inaccettabili; questa censura era molto attiva durante il giorno, meno durante il sonno in cui questi contenuti riemergevano mascherati nei sogni. L’ascolto delle pazienti gli permise di rafforzare l’idea di un’origine sessuale dell’isteria e quindi della nevrosi.
La nevrosi
Con questo termine si indicava una serie di disturbi tipici della sofferenza psicologica, senza alcuna causa organica, che Freud considerava originati da conflitti inconsci riguardanti la sfera sessuale. Da queste idee assolutamente innovative egli sviluppò tutta la sua teoria, dal forte ruolo della sessualità alla divisione del pensiero umano, con un Io, che deve continuamente mediare tra la forte vitalità dell’Es e le regole severissime del Super Io. Questa seconda topica dell’Io non è del tutto sovrapponibile alla prima (la divisione in inconscio, preconscio e conscio), tuttavia l’Es è costituito dalle stesse pulsioni che popolano l’inconscio. Quest’ultimo si rivela nei sogni e nei lapsus, uno degli elementi che è maggiormente entrato nella cultura popolare, anche perché si tratta di un evento che tutti abbiamo sperimentato una volta nella vita. Al di là degli aspetti più fantasiosi, come lo sviluppo psicosessuale e il complesso di Edipo, la psicoanalisi ha avuto il merito di saper spiegare la psiche dell’uomo medio, ancor più di quella dei pazienti malati. In “Psicopatologia della vita quotidiana” egli racconta proprio questi episodi e si sofferma sui lapsus, anche di lettura: sfido chiunque a non aver mai letto “sesso” al posto di “senso”, “pizza” al posto di “piazza” (magari in un momento in cui si era particolarmente affamati).
RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE
Teorie psicologiche successive come comportamentismo e cognitivismo, molto più scientifiche nel loro approccio, non sono state in grado di eguagliare il ciclone psicoanalitico per portata rivoluzionaria e popolarità, ma sono rimaste confinate tra gli addetti ai lavori. Freud fu un clinico nel senso più nobile del termine, perché valorizzò al massimo il rapporto con il paziente e l’interazione con esso nel guidare il percorso psicoanalitico, dall’indagine, alla diagnosi e alla guarigione, che in buona parte consiste nell’accettare sé stessi e i propri desideri.
Tra le accuse rivolte a lui oltre alla scarsa “scientificità” vi è quella di omofobia. Il pensiero freudiano andrebbe primariamente inquadrato nel suo periodo storico tutt’altro che progressista e, a questo proposito, occorre citare una lettera che lui scrisse nel 1935 a una signora che gli aveva chiesto aiuto per il figlio gay.
Freud ed omosessualità
Lui affermò che “l’omosessualità non è certo un vantaggio, ma non c’è nulla di cui vergognarsi, non è un vizio, non è degradante; non può essere classificata come una malattia”, pertanto con tutti i difetti che Freud può aver avuto, primo su tutti gli altri un grande egocentrismo (un ego sì frammentato, ma comunque presuntuoso), che lo portò a litigare con Carl Gustav Jung (suo allievo migliore), non ritengo giusto etichettarlo come omofobo. Nell’epoca delle neuroscienze, che scavano nella scatola cranica per spiegare il comportamento umano la mancanza di quantificazione dei risultati freudiani e di un metodo standard potrebbe ridimensionare molto la portata della psicanalisi.
TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
Adesso siamo letteralmente drogati da marcatori e neuroimaging, che non riescono comunque a spiegare la complessità della vita psichica. Certamente la risposta freudiana era lacunosa e semplicistica, con una logica non sempre coerente; ma ha avuto il merito di essere innovativa e comprensibile, perciò è riuscita ad entrare nell’arte, nella letteratura e nella cultura popolare. Liberarci di lui per dare spazio a teorie più all’avanguardia non solo è impossibile, ma non avrebbe neanche senso: l’importanza da lui attribuita alla vita quotidiana del paziente e alle sue relazioni, tra cui è inclusa quella con il medico è rivoluzionaria e resta e resterà per sempre un elemento essenziale della pratica clinica.