NELL’ANTICA ROMA L’ESTRAZIONE DENTALE ERA UNA VERA E PROPRIA TECNICA CHIRURGICA
“I denti talvolta tentennano.
Fa d’uopo recare alle gengive un ferro infuocato che lievemente le tocchi senza premere. Le gengive scottate si impiastrano con miele, e si sciacquano con mulso [cioè vino mielato].
Se poi il dente provoca dolore e bisogna cavarlo, dal momento che a niente servono i medicinali, si deve ripulire tutto intorno affinché la gengiva ne rimanga staccata e muoverlo bene affinché vacilli; perché un dente che aderisce forte, si cava con gran pericolo, e talvolta si sposta la mascella. Maggior pericolo si incontra con i denti superiori perché si possono scuotere le tempie e gli occhi.
Ora il dente, se si può, lo si deve cavare con la mano o altrimenti con la tenaglia; e se è corroso si deve prima riempire il foro o con la filaccia o con piombo ben adattato, affinché non si rompa sotto la tenaglia.
La tenaglia poi, si deve condurre retta, affinché inflesse le radici, non si spezzi in alcuna parte l’osso spongioso, in cui sta confitto il dente.
Bisogna stare attenti che quando fuoriesce più sangue del dovuto, può essere l’osso rotto in qualche parte. Allora si deve con lo specillo andare alla ricerca di quanto sia frantumato e con la molletta estrarlo; se non viene si incide la gengive affinché si arrivi a prendere il frammento osseo fluttuante.
Se a causa di un colpo o per altro accidente vacillano dei denti, si devono legare con filo d’oro a quelli che sono fermi; tenere in bocca cose astringenti come vino, in cui sia stata fatta bollire scorza di melagrano o sia stata gettata una noce di galla rovente.
Ogniqualvolta sia rimasta la radice del dente cavato, si deve subito estrarre anche questa con il tenaglino fatto ad uopo, il quale è chiamato dai Greci rizagra.”
tratto dal:
- “De Medicina” di A. Cornelio Celso, I secolo dc