MONACHESIMO E MEDICINA VISTI DAL XVIII SECOLO
“I monaci, allevati dietro il modello degli Esseni e dei terapeuti si erano già dati alla pratica di questa scienza, e nel secolo VI la esercitavano di già quasi soli nell’oriente cristiano, come obbligo di pietà e come obbligo del loro stato religioso. Ma per questo motivo appunto trascurarono interamente lo studio scientifico della medicina. Per semplicità o per superstizione o per aborrimento, non curavano i riflessi e le dottrine profane, non investigavano le cause fisiche, non si appigliavano ai rimedi naturali, ma ricorrevano sempre alle orazioni, o alle reliquie dei martiri o all’acqua santa o alle materie sacramentali. Io credo perciò, che cotali monaci meritassero il nome di devoti infermieri, anziché quello di medici. …
Si vede che i monaci, casocchè i loro rimedi andassero a vuoto impiegavano quelli stessi sotterfugi di cui si servivano anticamente i sacerdoti di Esculapio. Se i malati avevano fede, dovevano riguardare la malattia per un beneficio di Dio che voleva mettere alla prova la loro pazienza; se peccatori incalliti, la malattia era il castigo delle loro colpe e una voce che li chiamava alla penitenza.
Tuttavia la loro storia ci porge documenti inconfutabili che i monaci furono nell’occidente cristiano i soli conservatori dei deboli avanzamenti della cultura scientifica. S. Gregorio I favorì, quasi senza volerlo, i progressi di alcune dottrine allorché inviò nelle Bretagna dei missionari i quali fondarono delle scuole di botanica. Il venerabile Beda (673-735) rammenta parecchi ecclesiasti “anglicani” del settimo ed ottavo secolo, celebri per dottrina e per amore delle scienze. Tra i più insigni si annovera un Teodoro arcivescovo di Canterbury, un Columba ed un Erigena. Il primo stabilì alcune regole pratiche per quei monaci che esercitavano la medicina e, fra l’altro, vietò di cavar sangue nel novilunio.”
vedi:
- “Storia Prammatica della Medicina“, (1792-1799), di Kurt Sprengel, tradotta dall’Arrigoni, Seconda Edizione Italiana.