L’INVENTORE DELLO STETOSCOPIO RACCONTA LE SUE PRIME ESPERIENZE CON QUESTO STRUMENTO
“Il primo strumento che usai fu un cilindro di carta, formato da tre quaderni arrotolati in modo compatto e adesi tra loro per mezzo di una pasta. L’apertura longitudinale al centro della carta arrotolata mi ha condotto in modo accidentale ad un’importante scoperta. Questa apertura è essenziale per l’esplorazione della voce. Un cilindro senza nessuna apertura è il meglio per l’esplorazione del cuore: lo stesso tipo di strumento è sufficiente per la respirazione ed i rumori sordi; ma questi due si possono percepire in modo più distinto attraverso un cilindro perforato ad entrambi i capi, e scavato a forma di imbuto ad una estremità con la profondità di 4 cm. I materiali più densi, diversamente da quello che ci si potrebbe attendere per analogia, non forniscono la migliore strumentazione. Vetro e metalli, per il loro peso e la sensazione di freddo che possono trasmettere in inverno, convogliano il suono meno distintamente dei materiali di densità inferiore. Sulla base di questa iniziale e sorprendente osservazione, ho provato i materiali della minor densità possibile e, di conseguenza, ho costruito un cilindro con membrana d’intestino bovina, insufflato d’aria formando un’apertura centrale con cartone incollato. Ho trovato che questo strumento era inferiore agli altri, sia per la sua caratteristica di trasmettere in modo imperfetto i suoni degli organi toracici, che per la particolarità di accrescere i suoni esterni, come quelli provenienti dal contatto delle mani, ecc.
Corpi di moderata densità, come la carta, i tipi più leggeri del legno, o la canna indiana, sono quelli che ho scoperto essere preferibili rispetto agli altri. Questo risultato è forse in opposizione ad un assioma della fisica, anche se a me non pare così. Dopo tutti questi esperimenti ho deciso di usare un cilindro in legno, con un diametro di circa 4 cm, lungo 30 cm, perforato longitudinalmente da un foro ampio circa 0,7 cm, scavato internamente a forma d’imbuto, alla profondità di circa 4 cm da una delle sue estremità. Esso è diviso in due parti, un po’ per la comodità del trasporto ed un po’ per essere usato in un altro modo sfruttando la metà della sua lunghezza.
In questa forma, lo strumento, che ha l’estremità a forma d’imbuto, si può utilizzare per esplorare la respirazione ed altri rumori; quando applicata per esplorare il cuore e la voce, lo si può convertire in un tubo semplice e stretto, inserendo al suo interno uno stopper o tappo trasverso con una piccola apertura. Questo strumento l’ho chiamato stetoscopio. Le dimensioni menzionate non vanno sottovalutate. Un diametro maggiore rende lo impraticabile in certe parti del torace; una lunghezza maggiore rende più difficoltosa la conservazione della posizione iniziale mentre, se la lunghezza è minore, lo strumento viene applicato con difficoltà sulla ascella ed avvicina un po’ troppo il medico al respiro del paziente, esponendolo anche ad una postura sconveniente, aspetto che non va trascurato per ci ricerca un’accurata osservazione. Il solo caso in cui uno strumento corto è molto utile si presenta quando il paziente è seduto a letto, o su una sedia, con la testa o la schiena vicina all’osservatore: in questa situazione è più conveniente impiegare lo strumento nella sua parte di mezzo.”
Renè Laennec
Renè Laennec (Quimper, 17febbraio 1781 – Douarnenez, 13agosto 1826) inventò lo stetoscopio nel 1816: nell’occasione venne consultato per visitare una donna che presentava i sintomi generali della malattia cardiaca per la quale la palpazione e la percussione davano poche informazione a causa dell’obesità della paziente. La sua età ed il sesso impedivano un esame soddisfacente attraverso l’auscultazione diretta. Allora gli venne in mente un noto fatto acustico: applicando l’orecchio su un lato del tavolo è possibile ascoltare la graffiatura di uno spillo dall’altra parte.
Laennec immaginò la possibilità di impiegare tale proprietà nel presente caso. Prese un quaderno, lo arrotolò e ne applicò un’estremità al precordio; quindi inclinò il suo orecchio sull’altra parte e, con sorpresa e piacere, sentì il battito cardiaco più chiaramente di quanto sarebbe successo se avessi applicato direttamente il suo orecchio al torace.
fonte:
- tratto da ‘The History of Cardiology‘, 1994, di L. Acierno, cap. 22.