La nascita della virologia raccontata da un grande storico della Medicina
Direttamente connessa con lo studio della microbiologia, sia essa di natura animale o vegetale, è quella della virologia, e cioè di esseri viventi infinitamente più piccola, la cui natura è ancora ‘sub iudice‘.
IL TERMINE VIRUS
La parola virus è anteriore alla scienza della virologia, in quanto che essa aveva un senso molto lato. E così come oggi si usa il termine infezione o addirittura ‘bacillo‘, ‘batterio‘, ecc. si diceva ‘virus pestoso’, ‘virus coleroso‘ invece di dire bacillo della peste o vibrione del colera.
Fu Louis Pasteur che tolse al termine il significato generico e dette ad esso un valore specifico. Fu infatti lui a stabilire che, oltre i microbi visibili coltivabili nel solito terreno di cultura, dovevano esistere altri esseri non meno dannosi dei primi, che non erano nè visibili nè coltivabili. Fu solo in seguito che venne specificato il termine virus con l’aggettivo “filtrabile“, e cioè capace di passare attraverso dei filtri.
Il botanico russo Dimitri Iwanowsky (28ottobre 1864 – 20giugno 1920), infatti, nel 1892 studiando una particolare malattia della pianta del tabacco, denominata ‘mosaico del tabacco‘, ebbe l’occasione di stabilire che l’agente patogeno era un germe, invisibile ai comuni mezzi ottici allora a disposizione, e tanto piccolo da passare attraverso i filtri: infatti egli riproduceva la malattia in piante indenni, mediante il succo delle foglie filtrate. Egli si limitò a definire questa entità infettante con il nome di ‘virus invisibile‘.
Microrganismi che attraversano i filtri
Nel 1899, il microbiologo e botanico olandese Martin Beijerink (1851 -1931) ripeté e confermò l’esperienza di Iwanowsky, denominando l’agente patogeno ‘contagium vivum fluidum‘.
Se Iwanowsky fu evidentemente il primo descrittore della malattia nel regno vegetale, i microbiologi tedeschi Friedrich August Johannes Loeffler (24giugno 1852 – 9aprile 1915) e Paul Frosch (15agosto 1860 – 2giugno 1928) per l’afta epizootica, e l’igienista italiano Giuseppe Sanarelli, per la mixomatosi del coniglio, furono i primi descrittori dello stesso genere di malattia negli animali. Per la mixomatosi si tratta di una strana epidemia sviluppatasi in quell’anno fra i conigli del laboratorio dell’Istituto di Igiene di Montevideo (1898) dove lavorava allora il Sanarelli. La mixomatosi era una strana malattia che trasformava la vittima in un ammasso deforme.
Dopo i più accurati studi e ricerche sul germe patogeno ignoto, il Sanarelli concludeva che “la causa di questa malattia non appartiene ad alcuno di quegli esseri che siamo oggi abituati a conoscere come la causa di malattie specifiche“. Chiamò l’ignoto agente ‘virus mixomatogeno‘ e con questo virus invisibile egli operò come se si trattasse di materiale microbico.
L’ultra piccolo
L’idea dell’ultra piccolo sembrava assodata, e quasi istintivamente questi esseri invisibili furono posti nel regno dei viventi. Non tardarono però le opposizioni di coloro che li ritenevano essere delle sostanze chimiche, pur se prodotte dalle alterazioni di processi vitali di cellule.
Fin dal 1901, il patologo italiano Eugenio Centanni (1863-1942) aveva formulato questa ipotesi, mentre studiava il virus della ‘peste aviaria’, affermando che questo misterioso agente di malattia fosse inizialmente il prodotto di cellule alterate, capace di riprodurre le stesse alterazioni ogniqualvolta si trovasse a contatto con cellule simili.
Questa idea chimica sembrava sembrava acquistare terreno, e vi si associarono il Bauer (1904) ed il Sanfelice (1913-1915).
VITALISTI CONTRO CHIMIatrici
Una nuova scoperta però sembrò porsi nettamente dalla parte dei ‘vitalisti‘: il batteriologo inglese Frederick William Twort (22ottobre 1877 – 20 marzo 1950) nel 1915, e nel 1917 il biologo franco-canadese Félix d’Hérelle (25aprile 1873-22febbraio 1949) scopersero il ‘batteriofago‘, una specie di virus capace di uccidere i microbi. Molti scienziati si dedicarono allo studio di questo essere vivente, compreso il batteriologo belga Jules Jean Baptiste Vincent Bordet (13giugno 1870 – 6aprile 1961). Una prova certa per i ‘vitalisti’ sarebbe stata la dimostrazione che i virus potessero essere coltivati. Tutti i tentativi erano stati eseguiti sui normali terreni di cultura, ma gli esperimenti erano falliti, tanto che Pasteur aveva concluso che essi esigevano terreni speciali. La possibilità di ottenere terreni di cultura emerse solo quando si poté stabilire che la vita dei virus era condizionata da un “parassitismo obbligato endo-cellulare“, onde necessitava la presenza, nei terreni, di materiale vivente.
Terreni di cultura
I terreni proposti a questo scopo sono dati da interi animali viventi e da embrioni di essi, oppure da culture di tessuto in vitro, onde è stato detto che la loro coltivazione coincide con quella dei tessuti, il che porrebbe la data d’inizio intorno al 1927. Ciò però non è esatto, in quanto che si vide che erano sufficienti anche semplici cellule ancora vive: infatti, nel 1909-1910, l’igienista italiano Oddo Casagrandi (1872-1943) coltivò, per primo ed in modo evidente, il virus vaccinico unendolo a leucociti viventi. Inoltre, l’idea di sfruttare il materiale vivente come terreno di cultura era già parsa utile per la coltivazione dei germi: e fu il ricercatore italiano Achille Sclavo (21marzo 1861 – 2giugno 1930) che lo aveva attuato fin dal 1894, per coltivare il germe della polmonite, usando uova fresche.
Per l’inoculazione in embrioni vennero usati per lo più quelli di topo, o la membrana allantoidea dell’embrione di pollo. Questa tecnica, secondo quanto affermano Beverdidge e Burnet, era già stata sperimentata dal virologo statunitense Francis Peyton Rous (5ottobre 1879 – 16febbraio 1970) nel 1911, inoculando in questa membrana emulsioni e filtrati di sarcoma di pollo. Essa però fu messa a punto e resa veramente efficiente dai patologi statunitensi Alice Miles Woodruff ed Ernest William Goodpasture (17ottobre 1886 – 20settembre 1960) nel 1931, tanto che comunemente sono questi ad essere considerati i suoi inventori.
Cultura in vitro dei virus
Per la cultura in vitro, risultati decisivi furono ottenuti da Parker e Nye nel 1925, e nel 1928 da H. B. Maitland e M. C. Maitland, ma furono sempre utilizzazioni limitate a piccole quantità di virus, date le tecniche allora vigenti. Fu solo con l’impiego degli antibiotici, in laboratorio, con i quali si eliminavano gli inquinamenti batterici dei tessuti coltivati, che nel 1942 lo statunitense John Franklin Enders (1897-1985) e colleghi riuscirono ad ottenere risultati più sicuri.
Malgrado queste prove che sarebbero sembrate inattaccabili per dimostrare la natura vivente del virus, le stesse dimostrazioni furono prese dai ‘chimiatrici‘ a favore delle loro tesi, perché avrebbero dimostrato che il virus, di per sè stesso, non può esistere se non è unito a sostanze vive.
tratto da:
- “Storia dell’Arte Sanitaria” di Adalberto Pazzini (pagg. 1346-1352), Edizioni Minerva Medica (finito di stampare il 25 febbraio 1974)
vedi anche
- https://en.wikipedia.org/wiki/Dmitri_Ivanovsky
- https://it.wikipedia.org/wiki/Martinus_Willem_Beijerinck
- https://it.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Loeffler
- http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-sanarelli_(Dizionario-Biografico)/
- http://www.treccani.it/enciclopedia/eugenio-centanni_(Dizionario-Biografico)/
- https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_virology
- https://it.wikipedia.org/wiki/Frederick_Twort
- https://fr.wikipedia.org/wiki/F%C3%A9lix_d%27H%C3%A9relle
- https://it.wikipedia.org/wiki/Jules_Jean_Baptiste_Vincent_Bordet
- http://www.treccani.it/enciclopedia/oddo-casagrandi_%28Enciclopedia-Italiana%29/
- https://en.wikipedia.org/wiki/Ernest_William_Goodpasture
- https://en.wikipedia.org/wiki/Alice_Miles_Woodruff