LA BREVE FORTUNA DEL GUAIACO NELla TERAPIA DELLA SIFILIDE
“Dei tanti farmaci provati [nella cura della Sifilide], quelli che più si ottennero in voga e celebrità furono il Guajaco ed il Mercurio; più tardi venne decantata la Sarsapiglia.
Il Guajaco, albero connaturato al suolo della Giamaica e del Brasile, detto con altri nomi Legno Santo e Indiano, venne sui primi anni del seicento considerato quale talismano miracoloso nella cura dei mali venerei. Opinione però indebitamente usurpatasi come venne sperimentato dipoi. Di questa pianta scrissero magnifiche lodi Boerhaave, Astruc, Girtanner, Syddhenam e Hunter, nonché altri celebri osservatori.
E la storia ci ha trasmesso poi la meravigliosa guarigione del Cavaliere Hutten dopo che egli era stato la vittima della più confermata Sifilide.
Venne trasportata questa pianta per la prima volta in Italia nel 1508; usata dal Brasevolo nel 1516 contro la lue e da moltissimi altri. Oggi però scade moltissimo da quella sua voga e antica celebrità; infatti non occupa essa in terapeutica se non un piccolissimo posto. La volgare opinione, ferma alle più superficiali apparente, attribuisce al Guajaco, null’altro che un’azione diaforetica o sudorifera.”
[Francesco Freschi: “Storia della lue venerea“, 1840]
il guaiaco
Dalla pianta, per essudazione naturale o per incisione del tronco, si ottiene una resina balsamica (gomma o resina di guaiaco), contenente acidi organici (acidi alfa- e beta-guaiaconico, guaieretico, guaiacico), una saponina (guaiacina), vanillina, esteri del guaiacolo.
Veniva usato un tempo, in polvere o sotto forma di decotto, come diuretico, diaforetico e depurativo.