I DISTURBI ELETTROFISIOLOGICI: LE ARITMIE
LE PRIME OSSERVAZIONI
Le prime osservazioni dei disturbi del ritmo cardiaco furono ottenute con la sensazione tattile del polso ed in seguito osservando il battito cardiaco ad occhio nudo. Il fisiologo tedesco Rudolph Heidenhain (29gennaio 1834 – 13ottobre 1897) introdusse il termine aritmia nel 1872 per designare qualsiasi disturbo del ritmo cardiaco.
Thomas Lewis fu un pioniere nelle definizione di molte forme di aritmia a livello clinico. L’approccio meticoloso ed analitico di Lewis diede una spinta all’interpretazione elettrocardiografica di molte aritmie su una base certa e stimolò l’interesse generale per questa tecnica.
L’introduzione delle tecniche elettrofisiologiche intracardiache iniziò allorché Lenègre e Maurice riportarono per la prima volta la registrazione dell’attività elettrica di camere cardiache nell’uomo. Il loro lavoro venne compiuto durante la seconda guerra mondiale e i loro risultati furono riportati nel 1945.
REGISTRAZIONE DELL’ATTIVITA’ ELETTRICA CARDIACA
L’attività elettrica del fascio di His venne registrata per la prima volta da Alanis, Gonzalez e Lopez nel 1958. Il cuore isolato del cane fu il loro modello. Il primo tentativo di registrare l’attività del fascio di His nell’uomo avvenne nel 1959. Brian Hoffman ed il suo gruppo localizzarono il fascio di His con un elettrodo di superficie durante cardiotomia. Giraud, Puech, e Latour furono i primi ad utilizzare un catetere con elettrodo nell’uomo.
Benjamin J. Scherlag, (1932- vivente) per ottenere le sue registrazioni, impalò l’area del fascio di His con due fili d’acciaio inossidabile rivestiti con teflon. L’idea gli venne leggendo i report di Scher, Alanis e Sodi-Pollares. Con un po’ di pratica ottenne degli ottimi risultati. Con questa tecnica raggiunse due scopi: riuscì a registrare l’attività del fascio di His, ed allo stesso tempo ottenne il pacing ventricolare con una normale attivazione ventricolare dallo stesso sito di registrazione. Gli sforzi collaborativi di Scherlag ed i suoi colleghi dello Staten Island si concentrarono sulla caratterizzazione della funzione del nodo AV, del fascio di His e della rete di Purkinje durante il pacing atriale in tutte le forme di blocco cardiaco e nella sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW).
studi sul tessuto di conduzione
Il significato ed i meccanismi dei disturbi di conduzione del fascio di His furono chiariti grazie alla facilità ed accuratezza nell’ottenere elettrogrammi del fascio di His. Questo metodo portò alla luce alcuni fenomeni di conduzione nascosti, come la depolarizzazione del fascio di His, le sindromi di attivazione transettale e di pre-eccitazione.
Nel 1980 Reiffel ed i suoi associati usarono una tecnica con catetere transvenoso per registrare gli elettrogrammi del nodo sinusale e compararono i tempi di conduzione senoatriale nell’adulto, misurati in modo diretto ed indiretto. Utilizzando le registrazioni endocardiche dirette essi localizzarono il sito del blocco, valutarono l’effetto dei farmaci antiaritmici e tentarono anche una cura con ablazione non chirurgica.
Il primo lavoro di Dirk Durrer riguardò la diffusione dell’attivazione della parete ventricolare sinistra nel cane. Il suo collaboratore fu il prof. Van der Tweel. I risultati furono pubblicati nel 1953. La conoscenza ottenuta con il suo ago multielettrodo e le osservazioni fatte nel corso di 18 anni gli permisero di pubblicare un articolo fondamentale sull’eccitazione totale del cuore umano isolato rianimato. Inoltre, l’ago di Durrer venne usato negli anni cinquanta del XX secolo anche come strumento per la stimolazione.
il contributo di dirk durrer
Il Wilhelmina Gasthuis di Amsterdam divenne un crogiolo internazionale della ricerca nel campo dell’elettrocardiologia durante gli anni sessanta del novecento. La formazione e l’impulso di tale centro dipesero proprio dalla direzione di Dirk Durrer.
Furono intraprese molti studi sul fenomeno del rientro e delle aritmie ventricolari nell’ischemia locale e nell’infarto del cuore canino intatto. Ciò li condusse a sviluppare “sistemi multiplexing” che permettevano di registrare simultaneamente 128 siti.
La conclusione derivata dalle osservazioni con questa tecnica fu che il rientro era responsabile della tachicardia e della fibrillazione ventricolare che avvenivano spontaneamente durante i primi dieci minuti di ischemia miocardica.
DIFETTI DI CONDUZIONE INTRAVENTRICOLARE
La conoscenza riguardante la conduzione intraventricolare è stata resa possibile dalla capacità unica dell’elettrocardiogramma di registrare le alterazioni dell’eccitazione ventricolare.
Un elettrocardiogramma riportato nel 1894 da Einthoven con l’elettrometro capillare di Lippmann, presentante un QRS largo, fu probabilmente la prima registrazione di questa anomalia nell’uomo. Nel 1924 Einthoven presentò tale reperto alla consegna del Nobel e lo comparò ad un altro elettrocardiogramma dello stesso paziente eseguito dopo 34 anni. Il secondo tracciato era stato eseguito con il galvanometro a corda. Einthoven non comprese quando registrò il primo tracciato di avere a che fare con un ritardo di trasmissione dell’impulso.
La base fisiologica gli era nota quando ricevette il premio Nobel nel 1924, ma solo come risultato delle osservazioni di altri ricercatori.
l’elettrocardiogramma ed i ritardi di conduzione
Gli esordi del concetto risalgono al 1909, anno in cui Eppinger e Rothberger iniettarono nitrato d’argento nel setto ventricolare e nella parete ventricolare libera del cuore canino. L’iniezione nel setto interventricolare causò alterazioni elettrocardiografiche che essi ascrissero alla lesione delle branche principali del fascio di His. Questa fu la prima dimostrazione sperimentale di un blocco fascicolare. Il quadro elettrocardiografico variava a seconda del fatto che l’iniezione venisse fatta sulla parte sinistra o destra. Nel 1910 Eppinger e Rothberger incisero entrambe le branche del fascio di His e notarono l’insorgenza di blocco cardiaco completo.
Nel tentativo di comprendere la reale causa di queste alterazioni nell’uomo, e non contento degli studi di Eppinger e Rothberger, Thomas Lewis (26dicembre 1881 – 17marzo 1945) inventò una propria tecnica per produrre il blocco intraventricolare. Egli ideò una forma speciale di clamp per comprimere il setto in modo regolabile, che gli permise di riprodurre il tipico pattern elettrocardiografico che aveva osservato nei suoi pazienti. Lewis poteva manipolare lo strumento in modo tale da comprimere alternativamente le branche sinistra e destra.
Nel 1917, Oppenheimer e Rothschild descrissero le alterazioni elettrocardiografiche che attribuirono al ritardo di conduzione nelle ramificazioni più fini del fascio di His e del sistema di Purkinje. Essi introdussero il termine “blocco dell’arborizzazione”. Oppenheimer, in collaborazione con Pardee, pubblicò uno studio sul sito della lesione cardiaca in due casi di blocco intraventricolare.
BLOCCO DI BRANCA DESTRO E SINISTRA
I loro criteri elettrocardiografici per il blocco di branca destro e sinistro erano in disaccordo con quelli di Lewis. Sebbene piuttosto cauti nelle loro conclusioni, essi consigliarono ad altri studi di esplorare la possibilità di rivedere i criteri proposti da Lewis.
Nello stesso anno il cardiologo statunitense George Fahr (nato nel 1882) pubblicò un articolo che descrive l’interpretazione corrente (e corretta) dei modelli umani di blocco di branca. Fahr fece le stesse cose di Lewis, ma i due arrivarono a conclusioni differenti. Questo è quanto scrisse Fahr:
Le diagnosi di blocco di branca destra e sinistra fatte fino ad ora sono probabilmente sbagliate
Il problema trovò la sua soluzione nel 1932 allorché E. N. Wilson ed i suoi collaboratori pubblicarono un articolo a riguardo. Due importanti innovazioni spiegano la validità del loro lavoro. Insieme ad osservazioni dirette essi fecero registrazioni multiple precordiali. Dopo aver prodotto un blocco di branca nel cane posizionavano l’elettrodo esplorante in varie posizioni sopra il cuore la cui superficie era stata ricoperta con una piastra fatta di garza imbevuta in soluzione salina. L’elettrodo esplorante fu chiamato derivazione semidiretta dal momento che tutte le registrazioni venivano ottenute attraverso questo ed un altro elettrodo attaccato alla zampa sinistra. Le registrazioni nell’uomo furono ottenute con diversi dischi di rame collocati strategicamente sulla parete toracica così da simulare la tecnica esplorante nel cuore esposto del cane. Le tecniche di colorazione diedero una mano nel tracciare il contorno di un’anatomia macroscopica dettagliata. Nel 1960 Uhley e Riokin utilizzarono la soluzione di Lugol per colorare la superficie endocardica del cuore. Essi riuscirono a evidenziare in modo dettagliato le ramificazioni periferiche di entrambe le branche. Questo fu un passo istologico molto importante che permetteva di verificare in modo esatto il sito di una lesione prodotta sperimentalmente e correlarlo con le modificazioni del tracciato sull’elettrocardiogramma. Nei quattro anni successivi Uhley e Rivkin, con l’aiuto del bypass cardio-polmonare, condussero osservazioni di visione diretta e simultanee registrazioni elettrocardiografiche per dimostrare gli effetti delle lesioni nei fascicoli della branca sinistra e nei rami periferici del sistema di conduzione del ventricolo destro.
BLOCCO CARDIACO
In termini elettrocardiografici si riconoscono tre stadi di blocco cardiaco. Essi sono classificati come primo grado quando l’intervallo PR è prolungato, secondo grado definito dal modello Mobitz I o II, e come terzo grado o blocco cardiaco completo quando c’è una completa dissociazione tra i battiti atriali e quelli ventricolari. Il background storico del blocco cardiaco completo è sicuramente è il più interessante dei tre disturbi, e lo tratteremo con maggiore profondità. William Harvey descrisse diversi esempi di blocco atrio-ventricolare. Egli osservò un prolungamento dell’intervallo tra la contrazione atriale e quella ventricolare e notò anche come i ventricoli potevano contrarsi anche dopo più battiti atriali. Anche His jr fece affidamento sull’osservazione visiva per dimostrare il prolungamento dell’intervallo tra la contrazione atriale e ventricolare allorché lesionò sperimentalmente il fascio che aveva descritto due anni prima.
Edward Shapiro chiamò l’elettrocardiogramma la Stele di Rosetta delle aritmie. Questa definizione è vicina al vero anche se prima dell’avvento dell’elettrocardiogramma venivano utilizzati per l’identificazione delle varie forme di aritmia altri strumenti meccanici.
Le prime descrizioni del blocco cardiaco completo si trovano negli studi riguardanti il polso. George Cheyne scrisse nel 1745 un trattato sulla “English Malady or Nervous Diseases of all kinds”. In esso descriveva la malattia che tormentava l’onorevole colonnello Townshend, il quale era affetto da episodi di svenimento associati a rallentamento od assenza del polso. Non c’era la descrizione di nessun episodio convulsivo. A parte un cuore ingrossato, all’autopsia non gli venne notata nessun’altra anomalia. Quando Morgagni descrisse la sindrome nel 1761 egli la elencò tra i disturbi neurologici. Tale argomento si può trovare nella sua nona lettera che tratta dell’epilessia. Questa è la prima volta che gli attacchi convulsivi sono menzionati in associazione con un polso lento. Nel 1793 Thomas Spens, di Edimburgo, descrisse il caso di un uomo di 54 anni caratterizzato da episodi ricorrenti di perdita di coscienza, in cui il polso era di 24 battiti al minuto. Durante un episodio la frequenza scese a 10 battiti per minuto ed il paziente subì degli attacchi convulsivi. L’intera malattia del paziente durò quattro giorni. Poco prima di morire egli sviluppò afasia ed emiplegia destra. Spens non riconobbe la base cardiaca del quadro neurologico anche se non credette che questa fosse soprattutto un’affezione neurologica. L’opera di Robert Adams che comparve nel 1827 si differenzia dai precedenti per la percezione dell’origine cardiaca di tali attacchi. Egli scrisse:
“Un agente del fisco, 68 anni, di robusta costituzione fisica, non riusciva a compiere sforzi fisici da qualche tempo a causa del senso di oppressione del suo respiro e della tosse continua. Nel maggio del 1819, insieme al suo medico curante, Mr Duggan, visitai questo signore: egli si stava riprendendo dagli effetti di un attacco apoplettico che lo aveva colpito tre giorni prima. Egli stava abbastanza bene al punto da rimanere in casa ed uscire anche fuori. Ma era oppresso dallo stupore, avendo una costante disposizione al sonno ed una tosse fastidiosa. Ciò che più attrasse la mia attenzione fu l’irregolarità del suo respiro, e la lentezza del suo polso, che era di circa 30 battiti al minuto. Mr. Duggan mi informò che egli seguiva il paziente da circa sette anni e che nel corso di questo periodo aveva visto nel suo paziente non meno di venti attacchi apoplettici. Egli aveva osservato che prima di ogni crisi, per un giorno o due, il paziente appariva triste, letargico e senza memoria. Egli poteva cadere in uno stato di completa insensibilità e presentò in molte occasioni delle ferite in seguito a cadute. Durante questi episodi il polso poteva diventare ancora più lento del solito ed il suo respiro pesantemente stertoroso. Egli venne sottoposto a salassi e trattato con purganti. Alla fine di questi attacchi si riprendeva senza alcuna paralisi. Agli inizi di Dicembre presentò edema ai piedi ed alle caviglia; la sua tosse divenne più grave ed il suo respiro più oppresso, mentre le sue forze diminuirono.”
L’autopsia rivelò marcata “degenerazione lipidica” del miocardio, un reperto in congiunzione con il polso anomalo che condusse Adams a basare l’intera malattia sul disturbo cardiologico. William Stokes descrisse in modo molto chiaro ed accurato tutti i reperti cardiologici costituenti le componenti basali di quei disturbi che oggi prendono l’eponimo di sindrome di Stokes-Adams. Il professore Acierno sostiene che l’eponimo di questa sindrome non merita l’aggiunta del nome di Morgagni in quanto egli non correlò mai la sindrome ad una forma di patologia cardiaca come fattore causale. L’eponimo Stokes-Adams comparve per la prima volta nel 1889. Huchard lo utilizzò nel suo libro Maladies du Coeur et des Vaisseaux. Il perché mise Stokes in prima posizione non viene ben spiegato dal momento che egli riconobbe ad Adams la precedenza nell’aver descritto la malattia. Sebbene ciò sia vero, è altrettanto vero che Stokes definì in modo chiaro i fenomeni che costituiscono la base del blocco cardiaco completo. La descrizione di Stokes comparve nel 1846. Essa combina gli elementi tattili ed auscultatori dell’esame fisico. Questo è quanto scrisse:
“L’impulso del cuore è estremamente lento e fiacco che da l’idea di un’azione debole e lenta. Il primo tono è accompagnato da un tenue soffio che si prolunga fino all’inizio del secondo tono e si può auscultare distintamente lungo lo sterno ed anche nelle arterie carotidee. Anche il secondo tono è imperfetto, sebbene in misura leggera; l’imperfezione è più evidente dopo certi battiti. Il polso è di 28 battiti per minuto e presenta dunque il carattere della lentezza. Le arterie pulsano in modo vivo per tutto il corpo e non si ausculta in esse nessun soffio”
In quel tempo la diagnosi fisica raggiunse il suo apogeo grazie all’influenza della diagnosi clinica fatta a letto del paziente, caratteristica propria della scuola parigina.
La prima registrazione grafica di un blocco cardiaco completo fu ottenuta da Galabin nel 1875. Essa era un apicocardiogramma. Gaskell diede origine al termine blocco cardiaco. Il poligrafo ad inchiostro di Mackenzie dava più o meno le stesse informazioni di quelle che sarebbero venute dall’elettrocardiogramma. La sola differenza era che il poligrafo, attraverso la sua registrazione delle onde a e v, registrava la contrazione meccanica degli atri e dei ventricoli piuttosto che l’attività elettrica di per sé. La scala graduata, che oggi è molto usata per l’interpretazione delle aritmie, fu congegnata originariamente da Engelmann nel 1896 per l’interpretazione dei tracciati poligrafici. K. F. Wenckebach descrisse il tipo di blocco cardiaco, che prende il suo nome, anche con l’aiuto del poligrafo. Ciò avvenne nel 1899. I tracciati venivano ottenuti registrando il polso radiale. Anche Luigi Luciani aveva descritto nel 1872 un particolare ritmo nel ventricolo isolato di una rana dopo che questo era stato rifornito con siero. Le contrazioni erano irregolari e presentavano pause di diversa lunghezza. Tracciati con poligrafo da parte di Wenckeback rivelarono un polso che variava in modo simile alle contrazioni osservate da Luciani, e per questa ragione egli chiamò le pause “periodi di Luciani”. Il suo libro Die Arrhythmie, alsAusdruckbestimmterFunktionsstorungendes Herzen si basava interamente sulle registrazioni fatte con il poligrafo di Mackenzie.
Ritchie scrisse nell’introduzione al suo libro Auricular Flutter (1914) che:
“l’analisi critica di Wenckebach sui tracciati sfigmografici ha dimostrato che ogni forma di irregolarità cardiaca rappresenta un disordine di una certa attività funzionale cardiaca, e cioè la produzione dello stimolo, l’eccitazione, la contrattilità e la conduttività”.
Tale interpretazione delle aritmie cardiache è stata adottata ed amplificata da James Mackenzie nel 1908. Erlanger, un fisiologo americano, fornì la miglior prova sperimentale che il blocco cardiaco parziale o completo dipendeva da lesioni riguardanti il fascio di His. Anche lui utilizzò un metodo di registrazione meccanica. Egli riuscì in questo intento nel 1905 variando la pressione sul fascio di His mentre registrava graficamente i vari gradi di blocco cardiaco.
L’introduzione dell’elettrocardiogramma diede la prova grafica finale che i disturbi elettrofisiologici sottostanti erano la dissociazione tra gli impulsi atriali e quelli ventricolari. Einthoven fu il primo a registrare nel 1906 la dissociazione con un elettrocardiogramma. Quattro anni dopo Lewis fece lo stesso e, dopo due anni, lui e Cohn descrissero i reperti elettrocardiografici e necroscopici in un paziente che morì per blocco cardiaco completo. Essi non furono i soli a mostrare una correlazione tra la malattia del fascio atrio-ventricolare e l’evidenza clinica del blocco. Nel 1905 anche Hay descrisse i suoi reperti necroscopici in un paziente con blocco atrio-ventricolare.
FLUTTER ATRIALE
Quando MacWilliam vide ad occhio nudo il “fluttering” atriale in un cane, descrisse per la prima volta questo tipo di aritmia. Ciò accadeva nel 1887. Egli scrisse che la corrente “muove l’auricola con un rapido ondeggiamento”. C’è una registrazione elettrocardiografica riportata nell’articolo di Einthoven Le Télécardiogramme che mostra un flutter atriale con blocco 2:1. Einthoven non lo riconobbe come tale. Il paziente si trovava ad un miglio di distanza dall’Academic Hospital al momento della registrazione ottenuta tramite il leggendario cavo sotterraneo. L’onore di essere stato il primo ad aver riconosciuto un flutter atriale nell’uomo appartiene a William Ritchie (1873-1945). Il paziente aveva un blocco completo, e probabilmente grazie a questo fatto Ritchie riuscì a riconoscerlo con il poligrafo nel 1905. Quattro anni dopo, insieme a Jolly, egli ebbe la possibilità di ristudiare lo stesso paziente. Questa volta la registrazione fu fatta con l’elettrocardiogramma. Dopo altri quattro anni, Lewis sottolineò i criteri diagnostici elettrocardiografici. Nel 1921 Lewis mostrò che il meccanismo sottostante era un “circus movement”. Ciò venne confermato nel 1947 da Cabrera e Sodi-Pollares utilizzando l’elettrogramma bipolare. Nel 1986, il gruppo di Guiraudon ha dimostrato che il flutter atriale è associato ad un circuito di rientro reso possibile da un gap di eccitazione e da un’area critica di conduzione lenta nella regione intorno all’orifizio del seno coronarico.
FIBRILLAZIONE ATRIALE
La totale irregolarità del polso era nota agli antichi medici. L’oggetto del dibattito non era la sua esistenza, ma piuttosto la sua relazione con il battito cardiaco. Lo stetoscopio pose fine al dibattito grazie alla sua capacità di sincronizzare il ritmo cardiaco con la palpazione del polso. Adams fu forse il primo a riconoscerla clinicamente. Egli la considerava un segno sicuro di stenosi mitralica. Bouillaud descrisse un altro aspetto fisico. Egli osservò che la digitale riduceva in modo drammatico la frequenza nonostante la continua presenza dell’irregolarità. Egli descrisse questa azione con le parole “Questo grande moderatore, questa sorta di oppio del cuore”. Marey pubblicò nel 1863 un tracciato del polso con fibrillazione atriale in un paziente affetto da stenosi mitralica. Alfred Vulpian è definito da alcuni autori come colui che osservò per primo la fibrillazione atriale in vivo. Come per il flutter atriale, anche questa forma di aritmia era stata già osservata nel cane. Nel suo report pubblicato nel 1874 egli notò il ritmo caotico negli atri durante “faradizzazione” diretta del cuore intatto dell’animale. Egli lo definì “movimento fibrillare”. Lewis descrisse per la prima volta la fibrillazione atriale nell’uomo nel 1909, due anni prima del riconoscimento del flutter atriale. Lewis l’indicò come una condizione clinica comune. Considerando il meccanismo della fibrillazione atriale, Lewis conservò la sua opinione sull’origine legata ad un irregolare “circus movement”. Anche il team tedesco di Carl Julius Rothenberger (1871-1945) e Heinrich Winterberg (1869-1929) pubblicò nel 1909 una descrizione clinica della fibrillazione atriale. Essi utilizzarono due termini per descriverla, “aritmia perpetua” e “fibrillazione delle auricole” (“Vorhofflimmern”).
SICK SINUS SYNDROME (MALATTIA DEL NODO DEL SENO) SSS
Il termine “sick sinus syndrome” fu coniato da Bernard Lown (1921-vivente) nel 1967 allorché riconobbe l’incapacità del nodo sinusale di funzionare in modo adeguato dopo cardioversione per fibrillazione atriale”. Ora si sa che la sindrome si può manifestare in una varietà di aritmie che una volta si credeva non fossero correlate tra loro. Perciò il blocco senoatriale descritto da Mackenzie nel 1904 durante un’epidemia di influenza venne inizialmente ritenuto una disfunzione benigna del nervo vago. Oggi è invece considerato una parte della malattia del nodo del seno.
SINDROME DI WOLFF-PARKINSON-WHITE (WPW)
La sindrome di Wolff-Parkinson-White è l’eponimo di quella malattia che si manifesta con la preeccitazione. Louis Wolff (1898-1972) era un assistente di Paul Dudley White, e fu lui a seguire il primo paziente su richiesta del suo mentore. John Parkinson (1885-1976) fu il solo europeo che si interessò della sindrome subito dopo la descrizione fattagli da White. Precedenti esposizioni si possono trovare nei report di Frank N. Wilson nel 1915, Wedd nel 1921 e, separatamente tra loro, da Bach ed Hamburger nel 1929. Il report di Wolff, Parkinson e White comparve nel 1930.
Quando Wilson pubblicò il suo report lo descrisse come “un caso in cui il vago influenzava la forma del complesso ventricolare dell’elettrocardiogramma”. Wedd descrisse i suoi tracciati come esempi di tachicardia parossistica. Egli discusse anche il ruolo dei nervi cardiaci intrinseci. Il report di Bach tratta un caso di tachicardia parossistica della durata di 48 anni, con evidenza di blocco di branca destra e presenta un commento sulle loro caratteristiche cliniche inusuali.
Il caso che stimolò la curiosità di Paul Dudley White fu quello di un istruttore trentacinquenne di ginnastica artistica che si era rivolto a lui a causa di inspiegati episodi di fibrillazione e tachicardia atriale. A riposo l’elettrocardiogramma rivelava un corto intervallo PR ed un largo complesso QRS che somigliava al blocco di branca destra. Dal momento che il paziente riferiva a White che i parossismi si verificavano certe volte con l’esercizio fisico, gli fu chiesto di correre su e giù per quattro rampe di scale. Egli e Wolff rimasero stupiti nel notare che subito dopo l’esercizio l’elettrocardiogramma mostrava non solo una frequenza cardiaca di 120 battiti per minuto, ma anche un intervallo PR normale con un complesso QRS di normale durata. Quando il cuore ritornò alla solita frequenza a riposo l’elettrocardiogramma riprese a mostrare le alterazioni precedentemente notate. Gli venne somministrata dell’atropina che riportò il tracciato ad un pattern di normalità. In un’altra occasione, di fronte ad un tracciato normale vennero ripristinate le anomalie elettrocardiografiche con un massaggio carotideo. White scoprì nel suo archivio sei pattern simili. Egli li portò con sé nel suo viaggio in Europa cercando di trovare una spiegazione. L’esperto viennese, il Dr Scherf, gli assicurò che gli elettrocardiogrammi erano esempi di ritmo nodale atrio-ventricolare con conduzione ventricolare aberrante. Questa non era una spiegazione irragionevole e tuttavia, White non rimase soddisfatto. Molti altri cardiologi in giro per il continente non furono nemmeno interessati all’argomento. White mostrò a Londra i suoi tracciati al suo ex mentore, Lewis, ma lui non mostrò alcun interesse. White riuscì a suscitare la risposta entusiastica di Sir John Parkinson, che cercò nei propri archivi dei casi simili. Parkinson né trovò cinque ed inviò i tracciati a White che, nel frattempo era rientrato a Boston.
Holzmann e Scherf furono i primi a proporre la presenza di una via accessoria tra gli atri ed i ventricoli come causa della sindrome. Scherf riconsiderò la sua interpretazione originariamente errata e, nel 1932, dopo circa due anni dalla pubblicazione originaria di Wolff, Parkinson e White, diresse i propri sforzi nel tentativo di svelare il meccanismo elettrofisiologico sottostante. Un anno dopo Wolferth e Wood proposero come via colpevole il fascio accessorio che Kent aveva descritto nel 1893. Butterworth e Poindexter confermarono tale opinione nel 1942. Usando un gatto come modello, essi trasmisero correnti ad azione amplificata dal nodo SA al ventricolo. Il loro strumento agì, in sostanza, da bypass elettromeccanico che simulava quello anatomico. Gli elettrocardiogrammi risultanti erano simili a quelli della sindrome di WPW. Inoltre, essi invertirono il percorso di conduzione inviando impulsi dal ventricolo all’atrio. Ciò determinò accessi di tachicardia.
Un anno dopo Wood, Wolferth e Geckler confermarono all’autopsia la presenza di ponti muscolari nell’atrio e nel ventricolo destro in un paziente sospettato di aver avuto anomala conduzione atrio-ventricolare. Il paziente era un ragazzo morto durante un episodio di tachicardia. M. Irene Ferrer presentò nel 1967 nuovi concetti in relazione a quella che è stata ora riconosciuta come una sindrome di preeccitazione. Essa descrisse la sindrome, in sostanza, come consistente di varianti preeccitatorie dipendenti dall’anomalia anatomica: il fascio di Kent, le fibre di Mahaim e la via anomala della sindrome di Lown-Ganong-Levine.
TACHICARDIA VENTRICOLARE
Panum riprodusse la tachicardia ventricolare nel 1862 con l’iniezione di sego vegetale nelle arterie coronarie. La prima registrazione elettrocardiografica della tachicardia ventricolare nell’uomo fu fatta da Robinson e Herrmann nel 1921. Il paziente aveva un infarto miocardico acuto cosicché quel tracciato rappresentò un esempio clinico di occlusione arteriosa coronarica.
TORSIONE DI PUNTA
Questa è una forma di tachicardia ventricolare in cui i complessi QRS mostrano alternanza di polarità e modificazioni dell’ampiezza con un andamento ondulante. Il termine fu introdotto da Dessertenne nel 1966, ma le sue caratteristiche elettrocardiografiche furono descritte per la prima volta da Louis Gallavardin nel 1922, in seguito da MacWilliam l’anno dopo ed ancora da Wiggers nel 1929. Le sue caratteristiche cliniche e la sua associazione con la bradicardia e la fibrillazione ventricolare furono descritte da Schwartz nel 1949
FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE
C’è un passaggio nel Papiro Ebers che, secondo Lyman Brewer, potrebbe essere una descrizione di fibrillazione ventricolare. Scritte circa 3500 anni prima di Cristo, le parole affermano:
“Quando il cuore è malato, la sua azione avviene in modo imperfetto: i vasi che derivano dal cuore diventano inattivi, cosicché non si può sentirli … Se il cuore trema, perde forza e con l’avanzare della malattia muore”.
Le parole chiave sono tremore del cuore e mancanza di pulsazione. Vesalio, nel XVI secolo dc, descrisse dei movimenti “vermicolari” del cuore durante le sue vivisezioni negli animali. Questi sono stati probabilmente episodi di fibrillazione ventricolare precedenti la morte, che Vesalio descrisse senza concettualizzare in termini di aberrazione o impatto fisiologico.
La fibrillazione ventricolare, così come la conosciamo oggi, fu probabilmente descritta per la prima volta da Erichsen nel 1842. Egli la descrisse dopo aver eseguito ligatura coronarica. Ludwig e Hoffa la indussero con corrente faradica nel 1850. Vulpain l’etichettò come “movimento fibrillare” allorchè la descrisse nel 1874. MacWilliam portò un importante contributo quando nel 1887, senza beneficio dell’elettrocardiografia, delineò molte caratteristiche di questa aritmia letale.
Louis Katz fu il primo nel 1928 ad indicare il pericolo di un battito prematuro ventricolare che cade sull’onda T. Questo periodo fu denominato “vulnerabile” da Wiggers e Wegria nel 1940. Essi confermarono il lavoro di De Boer allorché indussero fibrillazione ventricolare con una singola induzione localizzata e con shock durante tale fase sistolica.
Articolo tratto dal Testo “The History of Cardiology” del prof. Louis J. Acierno (capitolo 20)
Autore: dott. Concetto De Luca (novembre 2011 – riveduto nel luglio 2022)
Altri riferimenti:
- https://en.wikipedia.org/wiki/Rudolf_Heidenhain
- https://nl.wikipedia.org/wiki/Dirk_Durrer
- https://it.wikipedia.org/wiki/Gabriel_Lippmann
- https://en.wikipedia.org/wiki/Lippmann_electrometer
- Eppinger H, Rothberger J. “Zur Analyse des Elektrokardiograms“. Wien Klin Wschnschr 1909;22:1091.
- https://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_Lewis_(cardiologist)
- “Dr. George E. Fahr and His Era“; By HOWARD B. SPRAGUE, M.D.