Descrizione di uno dei primi casi clinici di ‘Morbo Gallico’ da parte di Antonio Benivieni

Descrizione di uno dei primi casi clinici di ‘Morbo Gallico’ da parte di Antonio Benivieni

L’immagine è tratta da: “Il nuovo metodo naturopatico”, libro di testo e fonte di informazioni sulla medicina naturale e la teoria della salute di F.E. Bilz. Rielaborato dal dott. G.A. Ootmar. Edizione di: Dr. Karel Meyer & Co. Amsterdam 1923

Del morbo che comunemente si chiama Gallico

Nell’anno di nostra cristiana salute millequattrocentonovantasei, un nuovo genere di malore serpeggiò non solo per l’Italia, ma quasi per tutta l’Europa, il quale mossosi dalla Spagna, e prima sparsosi per l’Italia stessa, poi per la Francia e per le altre provincie d’Europa, assalì infinito numero di gente. Esso cominciava con pustole di varia specie sulle parti genitali, quantunque talora ma ben di rado anche sul capo, e indi poi si spargeva per tutto il corpo. Esse pustole in alcuni si mostravano piane e non punto rilevate, ma per altro scabre nella superficie e di colore alquanto bianchiccio, dalle quali si staccavano croste, e la carne ne appariva ulcerata; in altri rassomigliavano ai cossi, rotonde di figura, e da queste parimente, cadute croste più sottili, sporgeva più rossa la carne, onde gemeva una marcia fetida e di stomachevole puzzo.

Alcuni poi erano presi da più larghe bolle non rilevanti sopra la pelle, con croste più grosse, dalle quali pure stillava marcia in più abbondanza, e scrostate si vedeva la carne più fosca e alquanto livida, la quale esulcerata rodevasi. Il quarto genere finalmente e di tutti il più pernicioso, era quello, quando tolte via le croste albiccie, rimanevano in sulla carne come delle cicatrici, dalle quali tratto tratto versandosi il sangue, si aveva indizio della difficoltà della guarigione, e tenevano apparenza di scabbia asciutta: e sebbene queste meno corrodessero, pure qua e là serpeggiando, sviluppavansi in su diversi e non tocchi luoghi.

Tal genere poi di malore investiva in gran maniera la plebe ed i servi, poco i nobili. A pustole
di tal fatta tenevano dietro, benchè anche talora precedessero, dolori articolari, i quali con pari spasimo tormentavano, e, diseccandosi le stesse pustole, si facevano sommamente gagliardi. Che se taluno con violenza di rimedi avesse tentato di espellere l’interno umore molesto, le pustole che a un tratto nascevano in gola e in bocca riducevano gl’infermi a mal partito.

Quindi avvenne che alcuni per incuria del medico perirono, o quasi perduti con le fauci erose difficilmente tornarono a sanità.

Queste pustole noi giudicammo essere un genere d’impetigine, la quale dai Greci chiamasi “lichenas”. A cotal morbo Plinio altresì diede il nome di “mentagra“, perciocchè il mento se lo acquistava per via del bacio: di queste pure Celso ne descrisse quattro specie, cioè la rossigna e la negra, e quella che procede serpeggiando, e quella che ha bollicelle simili ai cossi. La materia poi di tali pustole pensiamo sia diversa secondo che diversi ne sono i generi. Perocchè ora regna un umore pungente e corrosivo misto al sangue, talora un
umore più denso traente all’atra-bile assorbita che ne fosse la parte più tenue. Alcune volte ancora viene in campo la stessa atra-bile, la quale dall’umore più pungente non viene disciolta, e trapelando per la cute impiaga la carne. E similmente eziandio si formano gli atri-umori che traggono alla natura dell’atra-bile, i quali se vanno a far capo alle parti più dure e non le possono penetrare ivi prendon lor sede, finchè, o si risolvono, o alla per fine si sfogano in pustole, risvegliando dolori acutissimi. Le quali pustole, sebbene per altro siano sordide e difficili a curarsi tuttavia affligon gl’infermi senza alcun dolore, come è l’indole dell’atra-bile; onde ne deriva, che coloro che son presi da pustole siffatte talora si danno in braccio a medici inesperti, i quali ignorando del tutto le cause di tale infermità, mentre si affrettano sul cominciare di essa a curarla con unzioni repellenti, spesso gli conducono o al sepolcro, o in peggiore ed affatto insanabile infermità. Imperocchè in cotal morbo trovandosi difficili le cagioni, e tali che a stento si possono allontanare, non è dato riacquistar la salute senza grandi fatiche e gran lunghezza di tempo. Per la qual cosa chiunque di loro cerca sollecita guarigione, i più la morte come già s’è detto, o almeno procacciano più lungo morbo. Se alcuno dunque è tribolato da questo malanno e desidera di provvedere a sè stesso senza pericolo di sorta, e di rinsanicare con sicurezza, metta in opera i medicamenti ed i consigli che noi gli daremo qui appresso.

I medici di grande esperienza fan fede che se cotesto morbo si diffonde per tutto il corpo si possono adoperare quei rimedi stessi con i quali si combatte la lebbra.

Laonde quando tu abbia giudicato esser questi umori misti al sangue e potersi essi insieme col sangue trar fuori, il meglio dei soccorsi si è subito cavar sangue dalla vena che i medici chiamano nera. Per lo contrario poi se flemmosi e non capaci di uscirne in verun modo col sangue, tu li dovrai mettere in equilibrio e trarli fuori con le medicine. Nè sarà tuttavia inutile attaccar le mignatte o anche le coppette in quella parte ove l’infermo più si risente. L’aspetto del corpo, il rossore della fronte, la tumidezza delle vene, e se vi sono le pustole sanguigne, tutto ciò ti sarà poi indizio che bisogna il soccorso del salasso.
Dipoi fa d’uopo metter mano a quei rimedi i quali sottraggon parte degli umori; la qual cosa
verrà fatta con più di successo, se tu farai tener lubrico il ventre con questo rimedio, composto di ogni mirobalano due parti, di radice di rabarbaro una parte, di agarico e polipodio di ciascuno mezza parte, di sugo di fuma-terra, di sena e di uva passa la quarta parte per uno. Le quali cose tutte diligentemente tritate bollano in sei libbre d’acqua, finchè sian ridotte al quarto, quindi colate si premano, e si aggiunga una libbra di miele, un oncia di scamonea e due di siliqua egiziaca, e il tutto a lento calore si riduca in un solo miscuglio, del quale l’infermo trangugerà una mezza oncia. Quindi dobbiamo usare i decotti temperanti gli umori come quello di fuma-terra, d’indivia, di aceto, di saccaro, e di sugo acido di limone; o in vece quelli che hanno tutti i mirobolani, il fuma-terra, l’indivia, la buglossa, la borragine, le viole, l’assenzio, il tamarindi, l’epitamo e la rosa: alle quali, aggiunto il sugo di fuma-terra e di saccaro, bollano e si riducano in forma di decotto. Riequilibrati quindi gli umori, si muova il ventre con più potente rimedio, il quale ne sottragga parte di quelli che hai in animo di cacciar via, come la sena, il polipodio, il veratro bianco, la pietra stellata, lo scamonio, la composizione del figlio Ameeh, l’Inda, ed altri molti che sono dai medici portati a cielo. Però non lasciare di tenerli nel siero di latte, e troverai che sono un ottimo e valevole medicamento, preso in decotto o in boli. – E perchè l’umore non si separa in una sola evacuazione soltanto, quindi le medicine van spesso ripetute. – In ultimo luogo sono da prendersi quei farmachi i quali esternamente applicati ponno eziandio giovare, come gli aperitivi, ove si trovi materia grassa e glutinosa, i risolventi ov’essa è più tenue, e sì gli uni che gli altri ove la materia partecipa di ambedue le qualità. Conviene talvolta ammollire con opportuni rimedi e calmare i dolori. E per questo malore giova pure l’acido di limone, la gomma arabica, la gomma di mandorla, lo storace liquido e la senapa se si stemperano con l’aceto. Anche la saliva dell’uomo digiuno, e quella specialmente che si attacca ai denti è di potente soccorso; giova l’acqua sulfurea, l’acqua salata e la spuma del mare, il sugo di psillo, l’olio di frumento e di viole, lo storace, e il gommo ammoniaco, l’elleboro, la gomma di ruta, il litargirio, la tuzia, la resina di pino, la spuma di argento e la cerusa: si usava pure il serapione che è composto di dodici parti di nitro e quattordici di solfo mescolato a molta resina. Alcuni aggiungono al minio sinopio la cera e l’olio di rosa e ne fanno unzione; altri poi uniscono la resina di terebinto, l’argento vivo, il mastice, il litargirio, e la cerusa timica coll’olio o col grasso di mirto, e coll’ungere tentano di far sudare i malati. Nè manca infine chi confessa, che alcuni col solo bere un medicamento composto di lacca lavata, di aloe e decotto di mirto, abbian potuto esser guariti interamente da sì fatto malanno.


vedi:
  • Di alcune ammirabili ed occulte cause di morbi e loro guarigioni. Libro di Antonio Benivieni fiorentino, volgarizzato e corredato di un elogio storico intorno alla vita e alle opere dell’Autore” Per cura del Dottor Carlo Burci, professore di Anatomia Patologica nell’Arcispedale di S. M. Nuova di Firenze”, 1843, pagg. 49-66

 

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