Breve storia delle endocarditi infettive

Breve storia delle endocarditi infettive

Jean-Baptiste Bouillaud (dal “Traitè Clinique des Maladies du Coeur“), 1841

Fino all’avvento del diciannovesimo secolo erano stati riportati casi di autopsia di pazienti che potevano aver sofferto di endocardite infettiva, ma si sapeva poco della malattia e non ne era stata descritta alcuna. A Parigi nel 1806, Jean Corvisart (Dricourt, 15febbraio 1755 – Parigi, 18settembre 1821) usò per la prima volta il termine vegetazioni per descrivere le anomalie osservate durante l’autopsia in pazienti che muoiono per endocardite. Quasi trent’anni dopo, Jean-Baptiste Bouillaud (16settembre 1796 – 29ottobre 1881) descrisse con un termine da lui coniato l’infiammazione dell’endocardio del cuore.


la seconda metà dell’ottocento

Rudolf Ludwig Karl Virchow (Świdwin, 13ottobre 1821 – Berlino, 5settembre 1902)

In Inghilterra, nel 1852, William Senhouse Kirkes (1823-1864) dimostrò che queste vegetazioni potevano rompere le valvole del cuore e viaggiare in siti lontani, causando ischemia, infarto e ascessi negli organi colpiti. Solo quattro anni dopo, in Germania, Rudolf Ludwig Karl Virchow  guardò le vegetazioni al microscopio e descrisse numerosi granuli, questo in un momento in cui l’esistenza dei batteri non era ancora nota. A Parigi, Jean Martin Charcot (1825-1893) ed Edmé Félix Alfred Vulpian (Parigi, 5gennaio 1826 – Parigi, 18maggio 1887) nel 1861 ipotizzarono che uno speciale “veleno morboso” potesse intaccare la superficie endocardica del cuore e viaggiare fino a la milza e i reni, anche per il cervello, gli occhi e la pelle.

Un importante progresso arrivò nel 1869 quando il norvegese Emanuel Fredrik Hagbarth Winge (1827-1894) osservò sottili fili fibrinosi all’esame microscopico di un campione di endocardite e postulò che si trattava di “organismi parassiti“.


nascita dell’ipotesi dell’origine infettiva

Theodor Albrecht Edwin Klebs (Königsberg, 6febbraio 1834 – Berna, 23ottobre 1913)

Nel 1872 il norvegese Hjalmar Heiberg (1837-1897) chiamò questo organismo un “leptotrix” (termine usato dai botanici.). Poco dopo, Edwin Klebs, dalla Germania, espresse la sua convinzione che l’endocardite fosse di origine batterica. Nel 1903, Schottmuller per primo lo isolò e lo chiamò “streptococcus viridians“.

Nel 1885 il medico di origine canadese William Osler (Bond Head, 12luglio 1849 – Oxford, 29dicembre 1919) tenne una famosa conferenza al Royal College of Physician di Londra sul tema dell’endocardite, riassumendo il suo catalogo clinico di 200 pazienti con questo disturbo. Egli incluse febbre e un nuovo soffio nelle sue presentazioni classiche; e nel 1893 descrisse le zone rosse e gonfie che si presentavano sui polpastrelli che divennero noti come i noduli di Osler; e sei anni dopo il medico statunitense Edward  Gamaliel Janeway (31agosto 1841– 10febbraio 1911) descrisse le lesioni indolori sul palmo delle mani e dei piedi. In seguito, il medico tedesco Moritz Litten (Berlino, 10agosto 1845 – 31maggio 1907) descriverà le emorragie retiniche.


diagnosi e terapia

un nodulo di Osler

Già nel 1880, Jacques Doleris (22dicembre 1852 – 18gennaio 1938) a Parigi era in grado di eseguire emocolture in pazienti con endocardite e notò che le emocolture erano più spesso positive al momento della febbre. Tra il 1881 ed il 1886, Netter e Grancher (collaboratori del grande Louis Pasteur) fornirono ulteriori prove del valore delle emocolture ottenendo lo stesso l’organismo da campioni di sangue e colture della valvola aortica. Nel 1908 Sir William Osler scrisse che “con le emocolture accuratamente fatte si dovrebbe essere in grado di determinare la presenza della setticemia; questo è stato fatto facilmente in tre dei miei casi recenti.

Nel 1939 arrivarono le prime notizie sull’uso dei sulfonamidi; tuttavia i tassi di guarigione raggiunti erano solo del 4-6%. Nel 1944, Leo Loewe et al. a New York curarono sette pazienti con endocardite batterica utilizzando la penicillina, anche se due dei pazienti svilupparono un’insufficienza cardiaca grave e uno morì. Nei primi studi, i tassi di guarigione ottenuti con la penicillina furono di circa il 70% .


Estratto e tradotto


riferimenti:
  • Ronald A. “Perspectives on the history of endocarditis”. Endocarditis (ed.) Chan KL, Embil JM, Springer, London, 2006, pp. 1-4.
  • Contrepois A. “Notes on the early history of infective endocarditis and the development of an experimental model”. Clin Infect Dis 1995,20:461-466.
  • Osler W. “Galstonian lectures on malignant endocarditis”. Lancet 1885;1:415-418;459-464;505-508.
  • Seabury JH. “Subacute bacterial endocarditis, experiences during the past decade”. Arch Intern Med 1947;79:1-21.
  • Loewe L, Rosenblatt P, Greene HJ, Russel M. “Combined penicillin and heparin therapy of subacute bacterial endocarditis. Progress report of seven consecutive successfully treated patients”. JAMA 1944;124:144-149.

 

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