Erasistrato di Ceo
Di Erasistrato non sappiamo con precisione né dove nacque, né la data di nascita, né quando morì. Probabilmente visse tra il 305 ac ed i 250 ac circa.
Il Pazzini ce lo descrive così [1]:
fu, insieme con Erofilo, uno dei maggiori esponenti della scuola medica alessandrina. Egli nacque nell’isola di Ceo, nella Giulide, [nell’arcipelago della Ciclade], nel 330 ac dal medico Cleombrato, e fu nipote, secondo Plinio, di Aristotele, essendo figlio della figlia di costui. Visse alla corte di Seleuco, re della Siria, padre del principe Antioco. Morì, a quanto si dice, avvelenandosi con la cicuta per i dolori procuratogli da un’ulcera del piede, e venne sepolto sul monte Micale, di fronte a Samo.
Alunno di Teofrasto, o secondo altri di Metrodoro, genero dello stesso, egli rappresentò una delle figure più originali di quel periodo scientifico, profondamente personale nelle sue vedute.
La sua maggior fama emerse dalle ricerche di anatomia e fisiologia; a lui Galeno, tanto per cominciare, riconosce la scoperta dei “vasa vasorum”.
Sembra per altro che, per primo, abbia descritto le valvole atriali e vasali, assegnando la tricuspide alla vena cava, e ne comprese l’ufficio, che però riferì in parte allo pneuma ed in parte al sangue. Descrisse l’arteria polmonare come una vena che sembra un’arteria, e la vena polmonare come un’arteria che sembra una vena. Assai vagamente intravede nel cuore la doppia azione aspirante e premente.
Nel sistema artero-venoso periferico egli pensò che le arterie, vuote di sangue, come appaiono nelle autopsie, fossero piene di pneuma, e che le vene fossero di sangue. Tra le une e le altre, lungo il decorso ammise la presenza di “anastomosi” che le avrebbero fatte comunicare: virtualmente, però, perchè in condizioni normali, sarebbero state sempre chiuse.
Per quanto riguarda il movimento del sangue, così lo riassume:
“L’aria, attraversata la trachea, e giunta ai polmoni, arriva al cuore sinistro per mezzo della vena polmonare. Qui si tramuta in pneuma, che sarebbe lo spirito vitale. Il cuore sinistro, per la via delle arterie, spande quest’aria divenuta pneuma, per tutto il corpo.”
Il succo degli alimenti digeriti diviene sangue nel fegato e da questo arriva nel cuore per la via della vena cava. Nel cuore Erasistrato riconosce il gioco delle valvole e vede il sangue andare, attraverso l’arteria polmonare, nei polmoni. Ma è errato, riferisce il Pazzini, dedurre da ciò che egli abbia visto il ritorno del sangue “pneumatizzato” al cuore. Infatti a questo giunge l’aria inspirata, che nulla ha a che fare con il sangue andato dal cuore destro ai polmoni.
Il fenomeno del polso sarebbe stato prodotto, secondo Erasistrato, dall’urto dello pneuma nelle arterie, onde esso sarebbe uno stimolo dello stato di tensione del pneuma vitale dentro l’organismo.
In tema di aspirazione, egli ammise che i polmoni fossero animati da una diastole e da una sistole (ipotesi che qualcuno attribuirebbe ad Erofilo).
Nel sistema nervoso, Erasistrato studiò assai bene, per i suoi tempi, il cervello, il cervelletto e i ventricoli laterali. Secondo Rufo di Efeso, distinse i nervi motori da quelli sensitivi.
Descrisse anche il parenchima del fegato e la secrezione della bile.
Forse per primo, Erasistrato ebbe un’idea del valore dell’anatomia patologica: egli, infatti, ricercò nelle alterazioni anatomiche le cause della pleurite, della pericardite, della idropisia. Per primo notò la correlazione tra la patologia del fegato ed il segno clinico che chiamiamo ascite.
Indubbiamente, afferma il Pazzini, le osservazioni da lui compiute in sede autoptica gli avranno potuto suggerire nuove interpretazioni patogenetiche, che lo fecero allontanare dalla dottrina umorale e concepirne, al contrario, una meccanicistica. In altri termini, egli pensò che la causa delle malattie risiedesse nei vasi e nei tessuti, ritenendo che la ragione prima fosse una pletora (eccessiva produzione di sangue), la quale, forzando le anastomosi esistenti tra vene ed arterie, chiuse in stato di salute, avrebbero permesso lo stravaso di sangue dentro le arterie.
Erasistrato ebbe rinomanza per le sue diagnosi. Egli dette particolarmente valore all’esame del polso, mediante il quale (si dice) fu in grado di scoprire la vera ragione di un male indiagnosticato che consumava il giovane principe Antioco. Egli infatti si accorse che il battito delle arterie si accelerava in modo evidente allorchè il malato vedeva Stratonice, sua giovane matrigna, dal che dedusse che l’amore era la causa del suo male. Questo mezzo diagnostico viene però assegnato dalla tradizione a moltissimi medici dell’antichità: Ippocrate, Galeno, Avicenna, per altri illustri infermi.
In terapia fu assai semplice nella ricettazione: usò anche la terapia naturale, l’idroterapia, l’esercizio fisico.
Erasistrato fu un vero caposcuola. Ebbe discepoli numerosissimi in Alessandria, e il suo insegnamento si ripercosse per oltre tre secoli.
Le sue opere, però, sono andate tutte disperse, essendo rimasti solo frammenti che si trovano specialmente nell’opera di Galeno. È noto che egli scrisse parecchi libri, sulle malattie dell’addome, sull’emottisi, sulla maniera di conservare la salute, sulla pletora, sulla gotta, sulla paralisi, oltre a molti libri di anatomia.
Fu “tale” il suo amore per lo studio che, secondo Celso, giunse a praticare le vivisezioni, eseguite su condannati a morte.
i seguaci
Tra i seguaci di Erasistrato vanno ricordati Stratone di Berito, anche lui commentatore di ippocratici, nemico del salasso come il suo maestro Apollonio di Menfi, scrittore di botanica medica, Apollofane, Cenofonte di Cos, Artemidoro di Sida ed altri ancora.
Il commento di Erasistrato da parte del Puccinotti [2] sembra ancor più entusiasta:
Educato nella filosofia e nelle scienze naturali da Crisippo di Cnido e da Teofrasto, lasciò Atene quando la lasciarono anche Strabone da Lampsaco ed Euclide che gli erano forse stati compagni alla celebre scuola di Teofrasto, e si recò con essi in Alessandria per lavorare al Museo Tolemaico, ed ivi continuò gli insegnamenti di Erofilo in anatomia e medicina. Scrisse moltissime opere; e ciò si rileva da una frase adoperata da Galeno relativa ai libri di Erasistrato, allorchè, riferendosi esplicitamente a dei libri nel quinto capitolo “De Locis Affectis”, afferma che ne esistevano molti altri. Sparsamente in Galeno si trovano citati i seguenti: “Universalia Praecepta”; “De naturalibus functionibus”; “De nervorum resolutione”; “De febribus”; “De sanguinis eductione”. Sembra che Galeno apprezzasse un suo libro intorno alla Suppurazione. Famosi erano anche i trattati di Igiene e di Dietetica intitolati “De Salutaribus” che contenevano la sua terapeutica [3]. Le sue opere sono andate smarrite; restano pochi frammenti in Galeno; e i giudizi di Galeno appaiono esageratamente avversi.
Ambedue i capi-scuola della medicina alessandrina, Erofilo ed Erasistrato compresero che l’eredità scientifica che essi trasportarono ad Alessandria doveva essere accresciuta principalmente di cognizioni anatomiche, e ambedue in ciò con sapienza ed esperienza si adoperarono. Ma, mentre Erofilo riteneva che la Patologia Umorale dovesse accrescersi e perfezionarsi con l’ammettere come fatti le innumerevoli qualità diverse di questi umori, e accordarle con le qualità delle malattie e dei rimedi, Erasistrato fu il primo e solo ad accorgersi che l’umoralismo spinto fuori dai limiti in cui l’aveva tenuto Ippocrate, limiti che non oltrepassavano l’esperienza complessiva dei sintomi e della crisi, si convertiva in una dogmatica astrattezza, che rimetteva la medicina sotto il giogo della filosofia.
Polemicamente, afferma il Puccinotti che, di fatto, fra i dogmatici Erofilei, i Sofisti, gli Scettici, gli Empirici e i Ciarlatani non vi fu in seguito più differenza: essi formarono in seguito tutta una famiglia, dal momento che tutti convenivano nella medesima farraginosa Terapeutica della Medicina Orientale.
L’umoralismo di Prassagora e di Erofilo, innalzando le affezioni generali al di sopra delle locali, finiva, abusandone, con il distaccarsi dall’anatomia, e cadeva nell’empirismo.
Se dunque l’anatomia ritornò nelle scuole mediche occidentali, dopo il naufragio che incontrò tra gli Empirici di Alessandria, con le cognizioni che la sapienza greca vi aveva scoperto, se ne deve il salvataggio ad Erasistrato ed agli Erasistratei. Così afferma in maniera netta il Puccinotti.
Si è detto che le prime cognizioni sul sistema nervoso considerato come un sistema speciale, e non più confuso con il vascolare né con il tendineo si dovevano ai lavori di Erofilo. Ma, giustamente, a parere del Puccinotti, lo Sprengel riflette che Erofilo “non poteva liberarsi affatto del pregiudizio allora dominante che confondeva i nervi con i legamenti: perciò se ne stette tra queste due opinioni” [4].
I più importanti lavori anatomici incominciati da Erofilo, sentenzia il Puccinotti, furono condotti a perfezione da Erasistrato
“che gli sopravvisse, e ravvicinati a quelle conseguenze fisiologiche delle quali restano ancora le tracce nelle moderne dottrine sulle funzioni vitali”.
Ed afferma che come nel frammento di Galeno [5]
“vedrai adombrate le esperienze dei nostri tempi sul cervelletto, quale viscere coordinatore dei movimenti; così presso Rufo Efesio rinverrai attribuita ad Erasistrato la distinzione dei nervi in sensori e motori”.
Prosegue il Puccinotti che Erasistrato conobbe la connessione tra il sistema nervoso e quello sanguigno per mezzo della nutrizione [6]. Egli ritornò sulle osservazioni di Erofilo intorno ai vasi mesenterici, e vi scoprì l’apparato dei vasi lattei. Rettificò l’anatomia del cuore e delle sue valvole, già messa sulla buona strada dagli Asclepiadi di Coo, denominando tricuspidale la valvola della vena cava, e dichiarandola come ostacolo al retrocedere del sangue.
Per quanto riguarda l’apparato digerente, egli riteneva una prima triturazione del materiale alimentare effettuata con le mascelle. Una seconda azione meccanica delle tonache del ventricolo distaccava le “molecole” che avevano già in sé la condizione di quelle costituenti il sangue, le quali, ravvicinate, formavano il chilo ed il sangue, che nelle estremità capillari delle vene disseminate per i tessuti, trasudavano dalle loro pareti le molecole riparatrici della mancata nutrizione degli organi. A questa “legge” egli assoggettava anche le secrezioni, legge che era chiamata “successionis ad id quod vacuatur”.
Egli si limitò ad applicare la sola meccanica spiegazione soltanto alla secrezione della bile, dal momento che questa gli sembrava “appoggiata ad una tale evidenza anatomica”. O per meglio dire, volle con questo solo esempio indicare che delle secrezioni non si poteva dire altro.
E questa ragione anatomica, non essendo per lui dimostrabile nella secrezione delle urine ed in altre, preferì di tacere piuttosto che dogmatizzare in supposizioni. Lo stesso fece riguardo alla milza che non conosceva, piuttosto che affermare come gli umoralisti che essa fosse lo “scolafecce del fegato”. E Galeno, ingiustamente per il Puccinotti, gli rimproverò il prudente silenzio, accusandolo di aver creduto quel viscere inutile, e di essere in contraddizione con “l’artefice natura”, che Erasistrato ammetteva come principio.
Per bene intendere il concetto di Patologia che Erasistrato si era fatto è bene intendere due cose: a) l’idea del sistema sanguigno ed arterioso e b) la relazione che aveva concepito tra questo e il tessuto degli organi.
Diviso il sistema vascolare in vene ed arterie, ritenne che il sangue prodotto dalla chilificazione si formasse nel fegato, e riunisse tutti i tronchi e rami venosi sino ai più piccoli “capillari”; che il sistema arterioso cominciasse dall’apparato respiratorio e si diffondesse per tutte le arterie dell’organismo, terminato anch’esso da minutissimi vasellini in continuazione con quelli delle vene. L’aria che entrava nella respirazione penetrava per la vena polmonare negli atri sinistri del cuore, e del suo pneuma riempiva tutto l’albero arterioso. Dove appunto i minuti vasellini di ambedue le nature più si agglomeravano e si intrecciavano, ivi erano gli organi; di maniera che l’essenza dei visceri era costituita da un tessuto interamente vascolare, cui egli per primo dette il nome di “Parenchima”. Finalmente l’elemento nutritore ed eccitatore erano sempre a contatto, ma ciascuno nei suoi limiti: e fintanto che questa costituzione meccanica conservava il suo stato di equilibrio, vi era era salute.
E la malattia nasceva dal perturbarsi il corso o del sangue o del pneuma, e dal penetrare o l’uno o l’altro nei “vasellini” non suoi. Le malattie erano dunque la maggiorparte negli organi, e il loro primo fenomeno era uno sbilancio idraulico. A tale fenomeno progenitore dello stato morboso Erasistrato diede il nome “Paremptosis”. Gli altri due fenomeni massimi collaterali erano “plenitudo” nei vasellini organici o arteriosi, e la “stasis” del fluido “stravenato”, e il “rincalzo” dell’altro fluido, costretto a far impeto nei centri maggiori dei suoi vasi continenti.
Da questi urti scambievoli nasceva la febbre, fintantochè la paremptosi si limitava ai vasi di maggior calibro; ma se avveniva nei vasi minimi e più intrecciati, dove l’avvilupparsi e la stasi si formava con più facilità, succedeva l’infiammazione. Febbre e infiammazione avvenivano quando dal lato delle vene si effettuava la paremptosi; paralisi e convulsioni avvenivano quando il medesimo fenomeno avveniva nelle arterie, ossia la plenitudo, la conculcatio e la stasis erano del pneuma.
Dunque, rimarca il Puccinotti, nella “Paremptosi” è veramente da collocarsi l’insegna patologica del sistema di Erasistrato.
Il Puccinotti vedeva Erasistrato come tentato da due fantasmi: il “chimico” abbracciato dai dogmatici umoralisti con tutte le loro sognate diverse calidità ed acidità di sangue e di bile; il “dinamico” non ancora introdotto, con tutte le forze specifiche degli organi sognate da Aristotele. Erasistrato respinse entrambi i fantasmi; e volendo tener fermo nel metodo matematico, cui lo confortava lo stesso Euclide, suo collega nell’insegnamento alessandrino, non gli restavano che le ragioni meccaniche della vita, da consociare o dedurre dalla struttura materiale e dimostrabile degli organi. Infine egli seppe anche tenersi lontano dallo “scoglio periglioso” delle dottrine atomiste di Epicuro, con le quali “avrebbe incontrato lo stesso errore dell’umorale chimismo e sarebbe, a piè pari, balzato aldilà di ogni dimostrazione possibile”.
Forte dei suoi concetti anatomici e della teoria fisiopatologica della paremptosi (che viene ritenuta ancora moderna), il Puccinotti esterna che Erasistrato
“preservò il germe della medicina greca dalla corruzione orientale, onde si trapiantasse e fruttificasse di nuovo nelle altre Scuole dell’occidente”.
Sentenzia il Puccinotti che “Erasistrato combatté principalmente la moltitudine viziosa delle cause inventate dai dogmatici per stabilire una di quelle incantevoli correlazioni, che si chiamano ipotesi-causa, ipotesi-morbo e ipotesi-rimedio. Ciò che dava occasione a una malattia o era evidente come la bile nell’itterizia, l’infiammazione nell’epatite, in tal caso da essa e in essa cominciavano e finivano le ricerche; o era occulta, ed era vanità e pericolo l’indovinarla”.
Interessante ed al contempo perlomeno curiosa questa osservazione de Puccinotti: Non si sa come da tali premesse patologiche della Scuola di Erasistrato ne scendesse razionalmente la conseguenza de poco o nessun conto che egli fece nella sua Terapeutica del salasso e dei purgativi. Questa omissione, di cui gli fa colpa grave Galeno in un libro appositamente scritto [7], non può essere stata consigliata ad Erasistrato che da una locale esperienza. Gli Alessandrini erano di tutt’altra tempra dei greci: molli, snervati dal clima del lusso e dalle orientali abitudini, non reggevano facilmente a cotesti mezzi debilitanti. Scusabile è del pari Galeno se si opponeva con aspra forza ad un costume, che gli Erasistrei tentavano di introdurre in Roma, dove la pienezza e il vigore de sangue romano, benchè cominciasse anche colà a degenerare, non solo sosteneva ma esigeva deplezioni e debilitamenti in molte malattie: e come sarebbe stato micidiale seguitare tra gli alessandrini con il facile salasso e col purgare dei greci; così, micidiale sarebbe stato ai romani il metodo alessandrino. Le differenti località di tal modo scusano e ad accusano a vicenda i differenti sistemi di medicare.
Ma nessuno fu meglio di Erasistrato il sostenitore della greca semplicità Terapeutica introdotta da Ippocrate. Mentre gli Erofilei e gli Empirici e l’immensa turba dei Periodeuti non facevano che adulare a falsa materia medica d’oriente, Erasistrato era contro tali fanatici ricercatori, e nel suo libro “De Salubribus” dimostrava che nel regime Dietetico, nell’uso della tisana, nei bagni, nei clisteri, negli emetici, nelle frizioni, nella ginnastica, ed in alcuni mezzi meccanici della chirurgia si racchiudeva la sola e vera potenza medicatrice umana: il resto era illusione o “ciurmeria”.
In Chirurgia, Erasistrato apriva all’esterno gli ascessi epatici e splenici; applicava spesso il catetere da lui riformato, giacchè l’alto usuale catetere conobbero ed adoperarono anche gli Asclepiadi di Cos; nell’ascite si asteneva dalla paracentesi, quando la malattia dipendeva dagli indurimenti dei visceri addominali; invece nelle suppurazioni toraciche la praticava senza indugio. Erasistrato fu il solo tra i greci in Alessandria che seppe e volle mantenere il connubio della medicina con la chirurgia, mentre molti degli Erofilei si lasciarono andare all’egiziano costume di spezzare la scienza in tanti speciali esercizi.
Il celebre Sprengel dice che Erasistrato venerò Ippocrate, e quando si scostò dalle sue opinioni non lo nominò mai.
Conclude il Puccinotti: “In Erasistrato dunque deve la Storia riconoscere l’ultimo prezioso anello storico della medicina Greca, che sia rimasto immune in Alessandria da vizi Peripatetici ed Empirici; il solo anello che va a rannodarsi con la medicina occidentale dei Latini e prosegue fino a Galeno.”
PREAMBOLO DEL PUCCINOTTI ALLA “SCUOLA DI ERASISTRATO”
Il Puccinotti [8] prima di descrivere la “scuola di Erasistrato” fa un preambolo molto interessante.
Egli inizia con una polemica verso coloro che chiama “gli storici”, i quali avrebbero affermato che né presso le Scuole mediche orientali, né verso gli Asclepiei si poteva praticare l’anatomia, a ciò indotti dalla forma sacerdotale di tali istituti, e che tale pratica (compresa la possibilità concessa ad Erofilo di “notomizzare i vivi malfattori”) fu permessa ad Erofilo ed Erasistrato grazie al favore dei Re. Il Puccinotti risponde a tali affermazioni con la sua verità storica, sostenendo che i due scienziati non avrebbero avuto successo nel Museo di Alessandria se non fossero stati “innanzi preparati e maturati a quel punto nelle Scuole Asclepidee della Grecia”. Infatti, continua il Puccinotti, Erofilo fu avviato “nelle cognizioni e negli esercizi anatomici” da Prassagora, ultimo della confraternita sacerdotale di Coo”, mentre Erasistrato “usciva dalle Scuole di Crisippo di Cnido e di Teofrasto, dove “avea tratto a zelo e perizia nel notomizzare”.
Dunque, nel preambolo di Puccinotti, la vecchia anatomia Egizia, conservata nel Serapeo del Museo di Alessandria, sotto i riti sacerdotali, si incontrò ai tempi dei Tolomei con l’anatomia giovane e piena di speranze ed educata e cresciuta entro gli Ospizi Asclepidei della Grecia, e grazie a questo “incontro” Erofilo ed Erasistrato seppero accrescere la stessa anatomia dentro al nuovo “Instituto Alessandrino” (forse lo stesso Serapeo), per “decreto” degli stessi Tolomei, presieduto da un Sacerdote supremo, “onde mantenere nel nuovo Museo le forme e costumanze antiche egiziane”.
Il ruolo dei Tolomei nel favorire la pratica della dissezione viene sminuito dal Puccinotti, il quale sostiene che gli storici a riguardo non altro alcune prove se non un passo di Plinio (“in Aegypto, Regibus corpora mortuorum ad scrutandos morbos insecantibus”). Del resto prosegue Puccinotti, è tanto incerto il preteso singolare favore accordato dai Tolomei allo studio dell’anatomia che nessuno degli antichi storici del Museo o di Alessandria ne fa menzione; e si ignora persino in “quale gigantesco stabilimento”, se vi fosse il locale destinato alle sezioni e lezioni di anatomia, mentre tutti gli appartamenti noti del Museo, il Bruchium, il Poseidon, il Paucion, l’Homerion, il Sebasteum, il Claudium, il Didascaleon, ebbero “tutt’altra destinazione fuori che quella di sezionare i cadaveri”. Dice il Puccinotti che è per “semplice congettura” che si può supporre che gli studi e le lezioni di Erofilo ed Alessandro avvenissero nel Ginnasio eretto da Alessandro, che sotto i Tolemaidi fu quasi sempre deserto, o in qualche parte del Serapeo, confinante con la Necropoli, in cui i sacerdoti “praticavano l’antico rito orientale del sezionare e imbalsamare i cadaveri”. Il Puccinotti sempre tendere per l’ipotesi del Serapeo come luogo in cui si praticavano le dissezioni allorchè scrive “E qui dove le due anatomie, la greca e e la orientale si incontrarono; quella zotica maestra dovette confondersi e lasciarsi sopraffare e vincere dalla prode sua alunna per tutto il tempo avvenire”.
Puccinotti prosegue il suo preambolo contestando le affermazioni (attribuite a Cornelio Celso e Tertulliano) secondo cui Erofilo avrebbe praticato la dissezione su persone vive. Egli cerca di smontare tali “favole” appoggiandosi alle tesi dello Sprengel [9] per quanto riguarda Celso e scostandosi poi riguardo alle affermazioni dello stesso Sprengel su Tertulliano. In buona sostanza, come lo Sprengel, Puccinotti afferma che non si può credere che Alessandro e poi i Tolomei, nel paese del culto di Iside, avessero potuto favorire la pratica della vivisezione sugli uomini ferendo il sentimento religioso sia degli Egizi che dei Greci. Ma a differenza dello Sprengel che (“malignamente”) sosteneva che “a diffonderla [tale favola] in seguito [dopo Celso] si adoperarono i creduli Padri della Chiesa”, citando Tertulliano, il Puccinotti afferma che Tertulliano era sì “avverso ad Erofilo” ma mai sostenne che costui “notomizzato avesse uomini vivi”. Puccinotti, interpretandone le parole, dice che Tertulliano voleva fare notare come Erofilo con tutte le sue seicento sezioni non poteva essere giunto a conoscere perfettamente la naturale costruzione della macchina umana, dal momento che la morte induce notevoli cambiamenti così come notevoli cambiamenti “artificiali ne induce lo stesso scalpello anatomico”.
[A mio parere questo preambolo del Puccinotti è molto interessante e sembra che sia finalizzato a porre l’attenzione su tre argomenti focali: 1) l’anatomia non nacque per merito dei re alessandrini, ma fu l’incontro di due culture sacerdotali; 2) gli alessandrini non praticarono mai la dissezioni su persone vive; 3) il cristiano Tertulliano non affermò mai che gli alessandrini praticarono la dissezioni su persone vive. (Concetto De Luca)]
Concludendo: in breve.
Fu, con Erofilo, uno dei maggiori rappresentanti della scuola medica alessandrina. Nelle sue opere, spesso citate da autori successivi, trattò di anatomia, patologia e soprattutto fisiologia. Tracciò il corso delle arterie, delle vene e dei nervi (che concepiva però cavi); distinse il cervello dal cervelletto, illustrò il funzionamento delle valvole cardiache e accertò la diversa funzione delle radici anteriori e posteriori dei nervi spinali.
FONTI :
- [1] Adalberto Pazzini: “Storia dell’Arte Sanitaria” Minerva Medica, pagg. 185-186
- [2] Francesco Puccinotti: “Storia della Medicina”, vol 1, libro terzo, cap. III, pagg. 520-534
- [3] Galeno; De Natura. Facultat. L. I e De Locis Affectis L. V
- [4] Sprengel; “Storia prammatica della Medicina”, Tomo II, pag. 274. Venezia 1812.
- [5] Galeno: De Hipp. E Platon placit. L. VII
- [6] Apud. Galen. “de Atra Bile” C. V.
- [7] Galeno: De Venae Sectione advers. Erasistratum; e l’altro De Venae Sectione advers. Erasistratum qui Romae degebant
- [8] Francesco Puccinotti: “Storia della Medicina”, vol 1, libro terzo, cap. III, pagg. 516-520
- [9] Sprengel: “Storia pramm. Della medicina” T. II, pag. 273
Articolo di Concetto De Luca (05/03/2014)
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