Diogene di Apollonia
Diogene di Apollonia, figlio di un certo Apollotemide, visse nel V secolo ac. Stefano di Bisanzio, geografo del VI secolo, dice che sia nato nella città cretese di Apollonia, mentre Claudio Eliano, erudito latino del II secolo, sostiene che era frigio e dunque probabilmente nativo di Apollonia di Pisidia, nell’Asia minore, oggi il villaggio turco di Ulubornu.
Lo storico Diogene Laerzio lo definisce
“filosofo della natura e molto famoso…discepolo di Anassimene”.
Secondo Simplicio, Physica, 151, 20,
“…parecchie opere furono composte da questo Diogene – come lui stesso ricorda nel libro Sulla natura, quando dice di avere scritto anche Contro i fisici che chiama anche “sofisti” e di aver composto una Meteorologia, in cui dice di aver parlato del principio [delle cose] e anche una Natura dell’uomo – ma nel libro Sulla natura, l’unico giunto fino a me, vuole dimostrare con molte argomentazioni che nel principio da lui posto c’è molta intelligenza”.
Anche il “Sulla natura” è andato perduto e restano pochi frammenti, tuttavia sufficienti a farci comprendere la sua dottrina, citati soprattutto nel commento di Simplicio alla “Physica” di Aristotele:
“Chi comincia un discorso, deve presentare un inizio chiaro e spiegazioni semplici. A me pare che tutte le cose risultino dall’alterazione di una stessa cosa e siano perciò la stessa cosa. Infatti se tutte le cose che esistono in questo mondo, come la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco e tutte le altre, fossero ciascuna diversa dall’altra, perché di natura diversa, e non fossero invece la stessa cosa che cambia in molte forme diverse, esse non si potrebbero mescolare fra loro e a ciascuna non verrebbe dall’altra nessuna utilità come pure nessun danno, e nessuna pianta potrebbe nascere dalla terra e non potrebbero nascere animali o altri esseri, se non fossero composte in modo da essere la stessa cosa. In realtà, ciascuna cosa nasce ora in una forma, ora in un’altra, perché sono il risultato di un’alterazione di quella stessa cosa e a quella stessa ritornano.”
Qui Simplicio commenta: …dopo aver dimostrato che in questo principio [la stessa cosa] c’è molta intelligenza, dice:
“Infatti non sarebbe possibile, senza intelligenza, una divisione che realizzi la misura di ogni cosa, e d’inverno e d’estate, e di notte e di giorno, e nella pioggia e nel vento e nel sereno: e tutte le cose saranno disposte nel miglior modo possibile.”
Afferma Simplicio: aggiunge che anche gli uomini e tutte le creature vivono e hanno anima e pensiero da questo principio, (arché) cioè dall’aria. Dice così:
“Ci sono poi anche queste prove importanti. Gli uomini e le altre creature vivono respirando l’aria. Essa è per loro anima e pensiero, come si dimostrerà chiaramente in quest’opera, e se essa si allontana, l’uomo muore e il pensiero lo abbandona…. Mi sembra sia dotato di intelligenza ciò che gli uomini chiamano aria, che tutti siano da questa governati e che tutto domini. Ciò stesso mi sembra che sia dio e che arrivi dappertutto e tutto disponga e sia in ogni cosa. E non c’è niente che non ne partecipi: però niente ne partecipa in maniera uguale, questo come quello, ma molti sono i modi, sia dell’aria che dell’intelligenza. Essa è poliforme, più calda e più fredda, più asciutta e più umida, più ferma o più rapida e vi sono in essa molte altre differenziazioni e un numero infinito di sapori e di odori. E l’anima di tutti i viventi è la stessa cosa, aria più calda di quella esterna in cui viviamo, ma molto più fredda di quella che sta vicino al sole. Ma questo calore non è uguale in nessun essere vivente (come neppure in un uomo rispetto a un altro) e non si differenzia di molto, ma in modo che gli uomini rimangano simili fra loro. Però nessuna delle cose che si differenziano può divenire perfettamente uguale all’altra, senza diventare la stessa. Poiché la differenziazione è multiforme, parecchi e multiformi devono essere anche gli esseri viventi e, dato il gran numero di differenziazioni, non sono simili l’uno all’altro né per forma né per condotta di vita né per intelligenza. Eppure tutti vivono, vedono e odono grazie alla stessa cosa e dalla stessa cosa tutti hanno un’intelligenza differente.”
Commenta Simplicio: è strano che pur dicendo che tutte le cose sono prodotte da quel principio per trasformazione, lo definisca però “eterno” (aidon):
“E proprio questo è un corpo eterno e immortale, mentre le cose nascono e muoiono…ma questo mi sembra chiaro: che è grande, forte, eterno e immortale, e sa molte cose.”
Teofrasto, nel suo “De sensu“, 39 – 45, riporta molte prove che, secondo Diogene, dimostrerebbero che il principio primordiale è l’aria:
“Diogene, oltre il vivere e il pensare, riferisce all’aria anche le sensazioni…l’olfatto all’aria che circonda il cervello…l’udito, quando l’aria che sta nelle orecchie, mossa dall’aria esterna, penetra nel cervello. La vista, quando le immagini si presentano alla pupilla e questa, mescolandosi con l’aria interna, produce la sensazione…il gusto, mediante la lingua, molle e morbida. Del tatto non ha parlato…L’olfatto, dice che è acutissimo in chi ha pochissima aria nella testa perché allora la mescolanza è rapidissima tanto più se l’odore viene trascinato lungo un condotto piccolo e stretto…Piacere e dolore nascono quando molta aria si unisce al sangue e se è conveniente alla natura del sangue, penetrando in tutto il corpo, l’alleggerisce e si ha piacere; se invece è contraria alla natura del sangue e non si mescola, allora, condensandosi il sangue e diventando più debole e compresso, si ha dolore…Il pensare avviene…mediante l’aria pura e secca: infatti l’umidità ostacola la mente e per questo nel sonno, nell’ubriachezza o nella sazietà si pensa meno. E una prova che l’umidità toglie la mente si ha nel fatto che gli animali sono meno intelligenti dell’uomo perché respirano l’aria che viene dalla terra e mangiano cibi più umidi. Gli uccelli respirano aria pura ma…hanno la carne dura e l’aria non può penetrare in tutto il corpo, si ferma all’addome e così digeriscono rapidamente ma non hanno intelligenza…Prive di pensiero sono le piante, perché non hanno cavità e non possono accogliere l’aria. Per questo motivo anche i fanciulli non sono assennati: hanno molta umidità sicché l’aria…è bloccata intorno al petto… e sono irosi, instabili e vivacissimi perché molta aria viene mossa da petti piccoli. E questo è pure il motivo delle dimenticanze: l’aria non riesce a passare in tutto il corpo…chi si sforza di ricordare sente difficoltà nel petto: quando è riuscito a ricordare, l’aria si spande e lui si libera da questo tormento.“
Emile Littrè, nella sua introduzione alla traduzione completa in francese del Corpus Hippocraticum, lo definisce come un seguace di Anassimene, nato ad Apollonia in Creta, all’incirca contemporaneo di Anassagora e di poco anteriore ad Ippocrate, “coltivatore dell’anatomia” di cui Aristotele ha conservato un lungo frammento del suo “Trattato sulla Natura“ in cui si trova una descrizione dell’origine e della distribuzione delle vene. Diogene inizia la sua descrizione dal ventre fino alle vertebre affermando che due delle principali vene appartengono al cuore. Da lì il sangue viene condotto al cervello attraverso il cuore. Egli conosceva anche i ventricoli del cuore e posizionava nel ventricolo sinistro la sede principale dell’anima. Plutarco afferma che Diogene chiamava questo ventricolo arterioso.
Un’altra teoria molto avanzata per i tempi (e osteggiata da Aristotele) era che l’aria era indispensabile non solo per gli animali terrestri ma anche per quelli marini, che la respiravano dall’acqua.
Un altro passo di Diogene, DK B6 (si fa richiamo alla numerazione di Diels-Kranz per i presocratici):
“Questo è l’assetto delle vene nell’uomo. Due sono le maggiori: esse attraversano l’addome presso la spina dorsale, una a destra, l’altra a sinistra, ciascuna in direzione della coscia corrispondente e verso l’alto in direzione della testa presso le clavicoleattraversando la gola. Da esse, vene si diramano per tutto il corpo, da quella di destra nella parte di destra, da quella di sinistra nella parte di sinistra; le due maggiori vanno al cuore passando vicinissimo per la spina dorsale, altre leggermente più in alto passando attraverso il petto e sotto le ascelle, giungono alle rispettive mani. L’una si chiama splenica, l’altra epatica, si biforca poi l’estremità di ciascuna, e da una parte va al pollice, dall’altra al palmo; e da esse vene sottili e assai ramificate giungono al resto della mano e alle altre dita. Altre vene più sottili si dipartono da quelle prima citate, e si dirigono, quella proveniente da destra verso il fegato, quella da sinistra verso la milza e i reni. Quelle poi che vanno alle cosce si diramano presso il punto d’attacco della coscia al tronco, e si spargono per tutto il femore. La maggiore di essa giunge alla parte posteriore del femore ed appare grossa; l’altra che va dall’interno del femore è un po’ meno grossa di quella. Poi, passando verso il ginocchio, si dirigono verso il polpaccio ed il piede al modo stesso di quelle che vanno alle mani. Raggiunto il palmo del piede, di qui si diramano verso le dita. Dalle vene principali si diramano anche molte sottili verso l’addome e verso le costole. Quelle poi che vanno alla testa attraverso la gola appaiono grandi nel collo: dal punto terminale di ognuna di esse se ne diramano molte in direzione della testa, quelle provenienti da sinistra verso la parte destra; e terminano entrambe presso l’orecchio.
V’è poi un’altra vena nel collo da entrambi i lati di quella grande, e poco minore di essa, alla quale confluiscono la maggior parte delle vene provenienti dalla testa ed esse si dirigono attraverso la gola verso l’interno, mentre da ognuna altre si dipartono sotto le scapole ed in direzione delle mani. Si manifestano sotto la splenica e l’epatica altre vene, un poco più piccole, che vengono incise quando v’è qualche dolore ipodermico (se il dolore è all’addome, anche l’epatica e la splenica). Altre poi che si dipartono da queste passano anche sotto le mammelle. Altre ancora ve n’è, sottili, che originandosi da entrambe giungono, attraverso il midollo spinale, ai testicoli; e altre che passando sotto la pelle e attraverso la carne arrivano ai reni e terminano, per gli uomini, ai testicoli, per le donne, all’utero. (Le vene che provengono dall’addome sono inizialmente più larghe, poi si fanno più sottili, finché mutano posizione passando da destra a sinistra e da sinistra a destra). Queste sono dette spermatiche. La parte più densa del sangue è assorbita dalle parti carnose; ma una volta superatole e giunto a questi luoghi, si fa rado, caldo e schiumoso.”
A riguardo, Mario Vegetti, nel suo testo sulla “Opera Ippocratica” (1961) afferma:
“Se, come epigono della ricerca ionica sull’arché, Diogene occupa un posto non insignificante, giacché a lui toccò probabilmente di diffondere la teoria pneumatica di Anassimene in ambiente attico e nel cuore stesso della medicina coa, le sue cognizioni anatomiche appaiono tutt’altro che trascurabili. E ciò spiega come il giovane Ippocrate di “Male Sacro“ si accostasse a lui più volentieri che ad ogni altro dei physiologoi”.
FONTI
Articolo tratto
- da wikipedia;
- dall’introduzione alla traduzione completa in francese del Corpus Hippocraticum (E. Littrè, 1839-1861); e
- dal testo sull’Opera Ippocratica (pagg.102-104) di Mario Vegetti del 1961
Autore: Dott. Concetto De Luca (07/12/2010)