Le tappe storiche dell’Immunologia
di Sergio Barocci – Università di Genova per la terza età e divulgatore scientifico.
da Arrhenius agli anni ’60 del novecento (Parte II)
La disciplina dell’Immunologia incominciò ad affermarsi progressivamente nei trent’anni successivi al 1880 con la creazione dei primi Istituti dedicati esclusivamente alla ricerca immunologica e con il crescente spazio che gli studi e i problemi immunologici acquisivano nei congressi di Medicina, di Igiene e nelle riviste mediche.
Nel 1908 fu fondata la “Zeitschrift fur Immunitatforschung” e nel 1916 la rivista “Journal of Immunology“. Risale al 1913 la creazione dell’American Association of Immunologists (AAI) e al 1921 la pubblicazione del primo trattato di Immunologia. L’esigenza di governare il fenomeno dell’interazione fra antigene e anticorpo trasformò progressivamente l’orientamento medico-fisiologico delle prime ricerche sull’immunità in uno studio chimico o chimico-fisico dell’anticorpo, dell’antigene e dei parametri caratteristici delle reazioni antigene-anticorpo. A partire da questo nuovo approccio si fece strada il concetto di immunochimica.
IMMUNOCHIMICA
I problemi principali dell’immunochimica (la definizione a questo approccio all’immunità è del 1907 e proposta dal chimico svedese Svante August Arrhenius), riguardavano la natura dell’anticorpo e dell’antigene, le basi chimiche delle loro interazioni e l’origine della specificità anticorpale.
La natura proteica dell’anticorpo fu stabilita negli anni ’20 del XX secolo dal biochimico statunitense Michael Heidelberger che, insieme a John Richardson Marrack (26novembre 1886 – 1976), sviluppò la teoria “reticolare” per spiegare alcuni fenomeni riguardanti i legami fra molecole. In particolare, venne approfondita l’indagine sulle modalità di interazione fra antigene e anticorpo.
Intorno agli anni ’30 nacque l’immunochimica, grazie all’applicazione di principi semplici e di tecniche come l’elettroforesi per la separazione delle proteine.
Nascita dell’immunochimica
Importante fu anche in quel periodo l’elaborazione da parte del biochimico ceco-americano Felix Haurowitz della “teoria istruttiva” o “template theory of antibody formation”, secondo la quale la molecola anticorpale si modellava sul substrato costituito dall’antigene.
Nel 1938 il biochimico svedese Arne Wilhelm Kaurin Tiselius (10agosto 1902 – 29ottobre 1971) ed il microbiologo statunitense Elvin Abraham Kabat, mediante l’applicazione dell’analisi elettroforetica al siero, dimostrarono che gli anticorpi erano contenuti nella frazione che migrava più lentamente lungo il gradiente di potenziale.
Tale frazione venne denominata γ (gamma) e da qui, il nome di “gammaglobuline” utilizzato come sinonimo di anticorpi fino agli anni ’60 del XX secolo, quando l’ulteriore differenziazione isotipica sostituì il termine di gammaglobuline con il termine di “ immunoglobuline”.
Elettroforesi ed Ultracentrifugazione
Le tecniche dell’elettroforesi (inventata da Arne Tiselius nel 1937) e dell’ultracentrifugazione (inventata dal chimico svedese Theodor Svedberg nel 1925) consentirono di differenziare gli anticorpi a partire dalle loro caratteristiche fisiche (carica elettrica, coefficiente di sedimentazione, peso molecolare) e le loro funzioni biologiche (fissazione del complemento, passaggio attraverso la placenta, partecipazione ai fenomeni allergici):
• IgM, anticorpi ad alto peso molecolare coinvolti sia nell’immunità innata o “naturale”, sia in quella adattiva;
• IgG, anticorpi adattivi, la cui formazione fa seguito in genere a quella delle IgM nel processo di immunizzazione;
• IgA e IgE, anticorpi coinvolti nell’ immunità delle mucose;
• IgD, anticorpi presenti nel siero solo in quantità residuali e principalmente coespressi con IgM sulla superficie di molti linfociti, ma non sulle cellule secernenti anticorpi.
Complesso Maggiore di Istocompatibilità
Negli anni successivi, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, ebbero un grande incremento gli studi applicativi sui vaccini e prese corpo l’insieme delle conoscenze fondamentali sul “Complesso Maggiore di Istocompatibilità” (MHC: Major Histocompatibility Complex).
Prima degli anni ‘60 del XX secolo le conoscenze sulle basi genetiche delle risposte immunitarie si erano fondate sullo studio della genetica dei gruppi sanguigni, dei trapianti, della resistenza alle malattie e all’impianto di tumori negli animali da laboratorio. Agli inizi del secolo il trapianto di linee tumorali in animali da esperimento era praticato dai patologi, quale retaggio dell’illusione, coltivata da diversi immunologi, che fosse possibile risolvere il problema del cancro mediante l’immunizzazione.
I risultati di queste esperienze furono riassunti nel 1912 in un volume intitolato “Die Heteroplastische und Homoplastiche Transplantation” (il trapianto eteroplastico e omoplastico), in cui si trovano già espresse le leggi fondamentali del rigetto dei trapianti.
IMMUNOLOGIA E TUMORI
Una di queste leggi asseriva che la probabilità di successo del trapianto era tanto maggiore quanto più stretto era il rapporto fra il sangue del donatore e quello del ricevente.
Nel 1916 gli statunitensi Ernest Tyzzer (30 agosto 1875 – 23gennaio 1965) e Clarence Cook Little ipotizzarono un controllo genetico dell’immunità ai trapianti di tumore. Tyzzer dimostrò che soltanto le cellule vive potevano creare sensibilizzazione al rigetto e che i linfociti erano prevalenti nel sito della reazione. Egli giunse altresì alla conclusione che la non compatibilità al trapianto doveva essere sotto il controllo di un complesso di fattori genetici ereditati indipendentemente.
Per individuare questi fattori unitari Little, suo allievo, sviluppò la selezione di animali geneticamente omogenei, fondando nel 1929 il “Jackson Memorial Laboratory” dove saranno prodotti, dal genetista statunitense George Davis Snell ceppi di topi congenici (identici per tutti i loci tranne per quello che codifica per l’MHC) utilizzati in quasi tutte le successive sperimentazioni immunogenetiche.
La scoperta del Sistema Maggiore di Istocompatibilità o MHC
Tra gli anni ’40 e ’50 del XX secolo i lavori di Peter Brian Medawar e Frank Macfarlane Burnet (3settembre 1899 – 31agosto 1985) sulla biologia dei trapianti, dimostrarono in modo definitivo la natura immunitaria del fenomeno del rigetto e stabilirono che quest’ultimo fosse correlato ai linfociti. All’origine delle ricerche di Medawar c’erano i lavori condotti dall’immunologo britannico Peter Alfred Gorer (14aprile 1907 – 1961) che aveva cercato di stabilire se i geni che, secondo Tyzzer e Little dovevano controllare l’istocompatibilità, fossero collegati ai geni dei gruppi sanguigni. Nel 1937 Gorer identificò nel gene di un gruppo sanguigno (gruppo II) questo tipo di funzione.
Lo studio dei geni di istocompatibilità nel topo (H-2), venne portato avanti dagli stessi Gorer e Snell, i quali dimostrarono che gli antigeni riconosciuti nel rigetto dei trapianti erano sotto controllo genetico. Jean-Baptiste Dausset in Francia e Johannes Joseph van Rood in Olanda caratterizzarono buona parte del profilo antigenico dei leucociti, chiamato “sistema HLA” (Human Leukocyte Antigen).
tipizzazione HLA
La tipizzazione HLA si dimostrò essenziale per il successo di trapianti. In realtà, a descrivere il primo antigene di istocompatibilità nell’uomo era stato, nel 1958, Dausset che aveva osservato come il siero di alcuni pazienti affetti da anemia emolitica autoimmune e da altre malattie del sangue contenesse anticorpi capaci di agglutinare leucociti allogenici e che questi isoanticorpi fossero indipendenti dal sistema degli anticorpi naturali AB0.
Da questo momento, J. Dausset incominciò a studiare le reazioni immunitarie di pazienti che avevano rigettato il rene trapiantato o di pazienti vittime di reazioni trasfusionali ai leucociti e osservò che questi sviluppavano anticorpi (Ab) circolanti verso gli antigeni (Ag) leucocitari del donatore, detti appunto allo-anticorpi. Tali antigeni, espressi sui leucociti, furono poi chiamati Antigeni Leucocitari Umani (HLA). Durante i primi anni ’60 le ricerche genetiche sull’istocompatibilità si svilupparono senza alcun controllo sui metodi, sulla nomenclatura da adottare e sull’interpretazione dei risultati.
I WORKSHOP IMMUNOLOGICI
A partire dal 1964 una serie di simposi detti “ Workshops” ed un intenso lavoro di collaborazione scientifica, che vide emergere a livello internazionale la figura di Ruggero Ceppellini (1917-1988), mise ordine nello studio di quello che fu chiamato, a partire dal 1965, il complesso principale di istocompatibilità MHC o HLA nell’uomo.
I primi 3 geni studiati sierologicamente furono indicati con i loci HLA-A, B e C. Successivamente, impiegando il test della Reazione Leucocitaria Mista (MLR) furono identificati ulteriori geni in una regione adiacente alla regione HLA sierologicamente definita; il primo chiamato HLA-D, la cui molecola venne indicata con il locus HLA-DR (da D “related”) mentre gli altri due gruppi di molecole codificate, furono indicate rispettivamente con i loci HLA-DQ e DP. Negli anni seguenti la tipizzazione HLA avrebbe introdotto il concetto di immunogenetica nella pratica clinica, con l’individuazione di loci HLA associati alle malattie.
La teoria della selezione clonale e la scoperta della struttura, dell’organizzazione e della espressione genica delle immunoglobuline
Nel 1948, un ulteriore impulso allo studio qualitativo e quantitativo dell’anticorpo venne dall’introduzione della tecnica di immunoprecipitazione in gel di agarosio da parte del batteriologo svedese Orjan Ouchterlony (14gennaio 1914 – 25settembre 2004) e dell’immunochimico francese Jacques Oudin (1908-1985). Tale tecnica fu sviluppata nel 1953 dal biochimico francese Pierre Grabar (1898-1986) in immunoelettroforesi su gel. Ciò consentì di verificare che il siero conteneva differenti tipi di immunoglobuline (Ig) o anticorpi (isotipi) IgM, IgG, IgA, IgE e IgD con differenti funzioni. La specificità delle reazioni sierologiche aveva sollevato il problema del meccanismo responsabile della selettività delle interazioni fra antigene e anticorpo.
P. Ehrlich con la sua famosa teoria del 1905 sulle “catene laterali” (una spiegazione alla formazione e alle modalità di azione degli anticorpi nel sangue) aveva suggerito che la specificità anticorpale doveva essere una conseguenza del riconoscimento stereo-complementare fra le strutture molecolari chimicamente definite dell’antigene e dell’anticorpo.
ANTIGENE ED ANTICORPO
Secondo lo stesso ricercatore , tale riconoscimento doveva essere di tipo irreversibile e dipendere da legami chimici covalenti. Successive indagini quantitative e strutturali dimostrarono invece che l’interazione antigene-anticorpo era reversibile e caratterizzata da legami di natura debole.
L’ipotesi della complementarità sterica fra i determinanti dell’antigene e dell’anticorpo fu dimostrata da Landsteiner che, a partire dal 1917, aveva studiato la risposta immunitaria nei confronti di costituenti chimici prodotti coniugando alle proteine piccole molecole organiche sintetiche. Landsteiner aveva stabilito che questi gruppi chimici artificiali, denominati apteni, erano riconosciuti dall’anticorpo con una precisione tale da discriminare fra due isomeri otticamente attivi della stessa molecola, e che diventavano immunogenici soltanto se erano agganciati a un vettore (effetto carrier).
SELEZIONE CLONALE
Ma si deve arrivare quasi al termine degli anni ‘50 per vedere il tramonto delle teorie istruttive e l’imporsi della teoria della “selezione clonale” ad opera di F. Macfarlane Burnet e dell’immunologo statunitense David Wilson Talmage (15settembre 1919 – 6marzo 2014) attraverso la quale veniva spiegata l’ipotesi per cui ogni linfocita portava un solo tipo di recettore specifico e che per attivare la cellula tale recettore doveva essere occupato dall’antigene; di conseguenza, le cellule che derivavano dal linfocita attivato possedevano i recettori dello stesso tipo della cellula originale mentre i linfociti che riconoscevano gli antigeni self venivano eliminati.
Questa teoria portava a compimento le osservazioni che erano state fatte in precedenza dallo scienziato statunitense Ray David Owen (30ottobre 1915 – 21settembre 2014) tra il 1940 e il 1945 sul chimerismo e da P.B. Medawar, nel 1953, sulla tolleranza immunitaria.
UN ANTICORPO UNA CELLULA
Nel 1958, il biologo austriaco di religione ebraica naturalizzato australiano Gustav Victor Joseph Nossal (4giugno 1931 – ) e Joshua Lederberg (1925-2008, che aveva lavorato sulla ricombinazione genetica e l’organizzazione del materiale genetico dei batteri), dimostrarono sperimentalmente come una sola specie di anticorpo poteva essere prodotta da una singola cellula. Questa divenne la prima prova a conferma parziale della teoria della selezione clonale.
Gli studi di F. Macfarlane Burnet e P.B. Medawar che avevano condotto alla scoperta della tolleranza immunitaria chiusero un’epoca e ne aprirono una nuova.
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Bibliografia:
- Snell, G.D. (1948). “Methods for the study of histocompatibility genes“. J. Genet 49; 87 – 103.
- Glick B., Chang T.S., Jaap R.G. (1956) “The bursa of Fabricius and antibody production“. Poultry Sci 35; 224.
- Dausset, J. (1958). “Iso Leuco anticorps“. Acta Haematol 20; 156 – 166.
- Burnet, F. M. (1959). “The Clonal Selection Theory of Acquired Immunity“. Vanderbilt University Press, Nashville.
- Miller J.F.A.P. (1961) “The immunological function of the thymus“. Lancet 2 ; 748