Storia dell’ECMO

Storia dell’ECMO

Schema di un circuito di ossigenazione a membrana extracorporea venosa. Il sangue dalla vena cava inferiore viene drenato attraverso una cannula nella vena femorale destra. Quindi, il sangue passa attraverso la pompa di propulsione e la membrana di ossigenazione, ritornando al sistema venoso del paziente attraverso la vena giugulare interna destra.

L’ECMO (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation) è un supporto extracorporeo alle funzioni vitali (ECLSExtraCorporeal Life Support), cioè una tecnica di circolazione extracorporea alla quale si ricorre temporaneamente nel trattamento di pazienti affetti da insufficienza respiratoria o cardiocircolatoria che non rispondono ai trattamenti convenzionali e che vicaria, quindi, temporaneamente la funzione cardiaca e polmonare.

Il prelievo del sangue da parte della macchina si ha sempre dal versante venoso mentre la restituzione del sangue ossigenato può avvenire nel circolo venoso (ECMO veno-venoso) oppure nel circolo arterioso (ECMO Veno-Arterioso).
L’ECMO Veno-Venoso non garantisce un supporto emodinamico diretto e si utilizza per supportare la ventilazione e l’ossigenazione quando la funzionalità cardiaca sia preservata o moderatamente compromessa.


veno-venoso e veno-arterioso

Il primo uso di supporto extracorporeo alle funzioni vitali venne eseguito dal dott. J. Donald Hill che utilizzò l’ossigenatore Bramson (in primo piano), a Santa Barbara, 1971. L’indicazione era “shock polmonare” a causa di politrauma successivo a un incidente in moto. Il paziente, un uomo di 24 anni, venne supportato per 75 ore.

I principali vantaggi dell’ECMO Veno-Venoso rispetto al Veno-Arterioso sono quello di evitare la cannulazione arteriosa che comporta rischi ischemici ed embolici e l’altro vantaggio è conservare un flusso pulsatile.
L’ ECMO veno-arterioso, invece, supporta sia gli scambi gassosi che la circolazione.
Il sistema è composto da:
• una pompa rotativa centrifuga, che si sostituisce alla funzione cardiaca.
• un ossigenatore a membrana, che arricchisce il sangue di O2 e lo decapneizza, cioè sottrae la CO2 sostituendosi, così, alla funzione ventilatoria polmonare.
• un riscaldatore, necessario per evitare perdite caloriche che avvengono durante il passaggio del sangue nel circuito.


la macchina cuore polmone del dott. Gibbon

Il circuito ECLS comprende (a) una cannula di drenaggio collegata a (b) la linea di deflusso. Il sangue viene drenato da (c) una pompa centrifuga non occlusiva e viene iniettato attraverso (d) l’ossigenatore a membrana per essere ossigenato, decarbossilato e riscaldato attraverso un riscaldatore (e); L’emofiltro è in linea (f) con il circuito. Il sangue viene reinfuso al paziente dalla (g) linea di afflusso e (h) la cannula di afflusso.

La macchina cuore-polmone rappresenta una delle più grandi invenzioni della Medicina. Essa fu partorita dal genio e dalla determinazione del dott. John Gibbon (1903-1973) e sua moglie Mary Hopkinson.
John Gibbon ebbe l’idea nel febbraio del 1935, dopo aver passato tutta la notte seduto accanto ad una donna operata alla cistifellea, che era morta successivamente, purtroppo, per una grave complicanza, cioè per una embolia polmonare massiva.
Gibbon durante le diciassette ore in cui fu al fianco della paziente continuava a pensare che questo suo stato estremamente precario sarebbe migliorato se il sangue venoso non ossigenato fosse stato inviato in un’apparecchiatura che avesse permesso di assorbire ossigeno e cedere anidride carbonica, per poi essere di nuovo pompato nella circolazione arteriosa.
I coniugi Gibbon idearono e realizzarono una macchina che funzionava a doppio pompaggio (cuore destro e sinistro) attraverso due pompe a rullo che comprimevano a ritmo regolare dei tubi di plastica.


John Heysham Gibbon e Mary Hopkinson

Fig. A. La prima versione del Dr Gibbon della macchina cuore-polmone (IBM I). Questa macchina è stata utilizzata fino al 1951 in modelli canini sperimentali. Fig. B. Il dr. Gibbon e sua moglie Mary con la versione più recente della macchina cuore-polmone (IBM II). Questo è stato il secondo e più raffinato modello utilizzato dal dottor Gibbon sui suoi primi pazienti.

Il sistema di ossigenazione che si sostituiva ai polmoni era rappresentato da una griglia in acciaio inossidabile, piatta, capace di distribuire il sangue creando un film sottile che riceveva insufflazioni di ossigeno.
Dopo molte centinaia di cani operati il primo tentativo sull’uomo fu fatto nel 1953, che risultò, però, fallimentare non per un cattivo funzionamento della macchina ma per un errore diagnostico. Dopo due mesi, esattamente il 6 maggio del 1953, fu ritentato l’utilizzo della macchina cuore-polmone su una ragazza di 18 anni affetta da difetto interatriale. L’intervento, che durò 45 minuti, questa volta ebbe un grande successo, durante il quale il cuore venne fermato per 26 minuti. Eravamo all’inizio di una nuova era della cardiochirurgia e il dott. Gibbon ebbe il gran merito di aver dato impulso al progresso in questo delicato settore. Negli anni successivi il celebre chirurgo John Kirklin realizzò numerosi interventi a cuore aperto proprio grazie alla macchina dei coniugi Gibbon.


L’ECMO NEL NEONATO

Il dott Robert Bartlett è nato nel 1939.

L’ECMO nel neonato, invece, si è potuto realizzare solo negli anni ’70 grazie alla evoluzione di sistemi dedicati, allo sviluppo della componentistica (ossigenatori e pompe), al miglioramento delle tecniche di impianto degli accessi vascolari nonché all’utilizzo di vene e arterie adeguate ai flussaggi richiesti.
Gli ossigenatori a membrana in silicone (Kammermeyer) soppiantarono le membrane realizzate in polietilene e teflon che ancor prima avevano sostituto l’ossigenatore a bolle eliminando lo svantaggio di avere una interfaccia diretta sangue-gas.

Le nuove membrane permettevano di ottenere la riduzione del problema dell’emolisi, la somministrazione di una minor dose di anticoagulanti e la diminuzione, per la maggior parte dei pazienti, di eventi emorragici.


UNA TECNOLOGIA SEMPRE PIù ALL’AVANGUARDIA

Esperanza, questo è il nome della prima paziente neonatale trattata dal dr Bartlett con la ECMO.

All’epoca la maggior parte dei dispositivi per l’ECMO al neonato era adattata da apparecchi per adulti che utilizzavano pompe a rulli che comprimevano il tubo di flusso per spingere il sangue ma nello stesso tempo determinavano emolisi. Queste pompe vennero, così, sostituite da pompe centrifughe, che sono utilizzate attualmente nella maggior parte dei centri ECMO e che presentano importanti vantaggi, rispetto ai primi modelli, come bassa emolisi, usabilità su un’ampia gamma di flussi e ridotto rischio di embolia gassosa.
L’ultimo grande problema da superare nella ricerca per eseguire con successo un bypass nel neonato era trovare un adeguato accesso vascolare. I primi ricercatori utilizzarono i vasi ombelicali, che non garantivano, però, flussi ottimali.


UNA NUOVA SPERANZA

A: Esperanza con la ECMO; B: Esperanza con il dott. Bartlett.

Successivamente vennero incannulati la vena giugulare interna e l’arteria carotide comune per l’ECMO VA, che consentivano un flusso sufficiente per un bypass cardiopolmonare.
La risoluzione di questi molteplici problemi ha consentito successivamente al dott. Robert H. Bartlett (nato l’8maggio del 1939), ricercatore e professore emerito di chirurgia presso la facoltà di medicina dell’Università del Michigan, di realizzare nel 1975 la prima applicazione di successo dell’ECMO in un neonato con l’insufficienza respiratoria refrattaria ad altri trattamenti.
Bartlett nel 1985, riferii alla comunità scientifica i suoi risultati di 45 casi di ECMO su pazienti neonati riportando il 56% di sopravvivenza e di questi l’80% senza conseguenze.


Riferimenti:

articolo di Domenico Dentico


 

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