LA PESTE DI GENOVA DEL 1656: UN RACCONTO IN UN QUADRO
Era il 1656 quando la peste scoppiò a Genova in tutta la sua violenza. Non era la prima volta. Spesso le epidemie erano arrivate via nave, portati da ricchi mercanti stranieri. Altre volte il contagio era giunto a bordo degli stessi vascelli genovesi tornati con i loro ricchi carichi di merce. Attraverso i porti di Marsiglia e di Genova, la “peste nera”, detta anche “peste bubbonica” a causa delle bolle purulente che martoriavano i malati, riusciva a sbarcare ovunque, diffusa dalle pulci dei ratti che a quel tempo dovevano essere proprio tantissimi e che si intrufolavano nelle navi per cercare cibo. Quella volta, la “morte nera” era arrivata da Napoli, dove era approdata dalla Sardegna e sull’isola chissà come era giunta e da chi o che cosa era stata portata.
Nella peste manzoniana del 1630 morirono a Milano circa 240.000 persone. A Genova morirono almeno i due quinti della popolazione, circa 55.000 persone.
I nobili venivano sepolti nelle chiese, tutti gli altri gettati in fosse comuni. Altri cadaveri venivano ammassati alla foce del Bisagno e quando la montagna di salme si faceva troppo alta, venivano aperte le chiuse a mare in modo che i pesci potessero cibarsene liberando lo spazio per le altre salme che sarebbero arrivate presto.
Il quadro dipinto da Domenico Fiasella (Sarzana, 12 agosto 1589 – Genova, 19 ottobre 1669) nel 1658 su commissione del governo della Repubblica a pestilenza ormai terminata, descrive perfettamente quello che doveva essere la città in quegli anni. Morti, morti ovunque. E pire in ogni spazio aperto, nel vano tentativo di eliminare i cadaveri e il contagio.
Probabilmente diversi vascelli rimasero senza padrone; l’annalista Filippo Casoni scrive che vennero utilizzati per tentare di disfarsi dei cadaveri. Le barche venivano portate al largo e lì si dava fuoco al fasciame e al suo putribondo carico.
Una volta, però, andò storta. Successe che per qualche motivo le fiamme si spensero e che la galea, invece di ardere e di inabissarsi, andò allo sbando per il Golfo di Genova, trascinata dalla corrente, per incagliarsi nottetempo sulla spiaggia di Sestri Ponente, col proprio carico di morte e puzza.
Nel quadro del Fiasella, insieme ai cadaveri dei ricchi nei loro abiti eleganti e a quelli dei poveri seminudi, insieme ai carri dei monatti, insieme alle pire che bruciano vicino alla chiesa di San Domenico e sui moli e ai moribondi che rantolano sulle panchine di marmo della Loggia della Mercanzia, insieme al Diavolo che soffia sulla città il suo venefico alito e alla Morte che si dà da fare mulinando la falce, a sinistra, vicino alla Lanterna, si vede una strana imbarcazione. È la barca carica dei morti di peste che non finì di bruciare e tornò a riva col suo disgustoso carico.
TRATTO DA:
- “Quando il vascello dei morti di peste ritornò a riva a Sestri Ponente con il suo macabro carico“, 5 Novembre 2015
- DANILO PRESOTTO: “GENOVA 1656-1657. CRONACHE DI UNA PESTILENZA“
- https://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_Fiasella